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Periodico registrato presso il Tribunale di Ancona n. 13 del 10 maggio 2012

ISSN: 2280-756X

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L’evoluzione dell’agricoltura marchigiana

Una lettura dei dati provvisori del Censimento 2010


Andrea Arzeni
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011


Introduzione

La complessa macchina censuaria ha prodotto nei mesi scorsi i primi risultati che seppur provvisori e parziali consentono di delineare un quadro aggiornato delle caratteristiche strutturali delle aziende agricole e della loro evoluzione di lungo periodo.
Alla data di stesura di questo articolo, i dati disponibili per le Marche si riferiscono a pochi aggregati a livello regionale, e non è ancora presente il dettaglio provinciale (1). I risultati provvisori si riferiscono al numero di aziende e alla superficie investita, distinta in alcune grandi categorie; alla consistenza zootecnica a livello di specie allevata.

 

Le aziende e le superfici

Una delle maggiori aspettative poste sul Censimento era legata alla numerosità delle strutture produttive, ovvero alla quantificazione del calo progressivo delle aziende che ormai caratterizza l’evoluzione del settore agricolo negli ultimi decenni, non solo regionale.
Il confronto tra i due ultimi censimenti conferma questa contrazione che però nelle Marche assume una dimensione relativa inferiore rispetto alla dinamica nazionale e del Centro Italia (Figura 1).

Figura 1 – Aziende, SAU e superficie totale aziendale, variazioni percentuali 2000-2010

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

Questo minore calo regionale rispetto alle altre aree di riferimento rappresenta un elemento di novità rispetto al passato, sul quale si ritornerà in seguito.
Nella stessa figura sono rappresentate le variazioni relative della superficie agricola utilizzata e di quella totale, anche queste negative ma tutte nettamente inferiori al calo percentuale delle aziende. Da questo fatto si desume che sono fuoriuscite prevalentemente le aziende di minore dimensione, in termini di superfici, e/o che i terreni dismessi sono stati recuperati ed accorpati dalle unità produttive che sono rimaste.
In effetti dal precedente censimento del 2000 le dimensioni medie aziendali sono cresciute sia in termini di SAU che di superficie totale (SAT). Nelle Marche si è passati da 8 a 10,2 ettari di SAU media (da 11 a 13,6 la SAT) restando su valori significativamente superiori alle corrispondenti medie nazionali (SAU 7,9 e SAT 10,6), in quanto l’agricoltura regionale ha un forte orientamento produttivo cerealicolo estensivo.
C’è da notare però come le corrispondenti variazioni percentuali siano nettamente inferiori per le Marche ed è il segnale che il fenomeno è avvenuto ad una velocità più bassa rispetto al resto del Paese.
Un ulteriore aiuto interpretativo sui fenomeni evolutivi di lungo periodo è offerto dalla figura che segue, dove sono stati considerati i risultati censuari a partire dal 1970.

Figura 2 - Aziende e SAU, confronto Marche-Italia (1970=100)

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

Il grafico mostra l’andamento indicizzato su base 1970 del numero di aziende e della SAU, e consente un confronto diretto tra le dinamiche regionali e nazionali.
Si nota subito il dimezzamento numerico delle aziende nel giro di 40 anni: nelle Marche si è passati dalle oltre 100 mila aziende del 1970 alle attuali 46 mila. Per quanto la definizione di azienda come oggetto di rilevazione censuaria, è più ampio di di quello dell’impresa economica (2), è indubbio che il fenomeno di ridimensionamento della base produttiva sia stato comunque imponente.
L’ampliamento dell’orizzonte temporale evidenzia inoltre come il minore calo relativo delle aziende agricole marchigiane registrato nell’ultimo censimento, abbia consentito un recupero rispetto al passato ed un riallineamento alla dinamica nazionale. Con le informazioni attuali non è possibile affermare se si tratti di un rallentamento del declino o se questo nelle Marche è avvenuto anticipatamente, in ogni caso in un contesto generale comunque negativo, la situazione regionale appare leggermente migliore (o più correttamente meno sfavorevole).
Per quanto riguarda l’evoluzione della SAU è avvenuto per certi versi il contrario, ovvero la diminuzione delle superfici si è manifestata più rapidamente in Italia rispetto alle Marche che mantengono nel 2010 un margine positivo seppure ridotto rispetto alla precedente rilevazione censuaria. Dal 1970 la SAU nelle Marche è passata da 616 a 473 mila ettari, mentre la superficie aziendale totale da 846 a 632 mila ettari. Nel complesso la quota di superficie territoriale (3) gestita dagli agricoltori è scesa dall’87% al 68%, ovvero 214 mila ettari di territorio sono stati “assorbiti” dai processi di urbanizzazione o viceversa di rinaturalizzazione (4).

 

Le coltivazioni

Restando nell’ambito della SAU, è possibile analizzare la sua composizione in tre macrocategorie: seminativi, legnose e prati-pascolo. L’Istat fornisce anche il dato sugli orti familiari le cui superfici però sono irrilevanti rispetto alle tre principali componenti (mentre è consistente il numero di aziende).

Figura 3 – Composizione della SAU, confronto Marche/Centro/Italia

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

La comparazione territoriale mette subito in evidenza la prevalenza delle superfici a seminativi nelle Marche che costituiscono l’80% della SAU contro il 54% della media nazionale. In valore assoluto i seminativi regionali coprono una superficie di poco superiore ai 377 mila ettari e sono diminuiti di oltre 14 mila ettari dal 2000, ma questo calo è stato in linea con la contrazione totale della SAU (o più precisamente l’ha determinata), per cui è rimasta immutata la quota percentuale.
All’elevata incidenza dei seminativi fanno riscontro le minori quote delle legnose e dei prati-pascoli, e le loro variazioni intercensuarie segnalano una sostanziale staticità della composizione della SAU che si contrae in egual misura per tutti i tre principali aggregati presi in considerazione. L’unica nota da evidenziare è relativa alla variazione negativa delle superfici pascolive che raggiungono il -17% nel Centro Italia contro il -3% nelle Marche e il +2% in media nazionale.
Il fenomeno è sicuramente legato, come si vedrà in seguito, al calo degli allevamenti ed in particolare di quelli estensivi, che sembra aver interessato maggiormente le regioni centrali anche se il dato marchigiano appare più contenuto.
Passando dagli ettari al numero delle aziende, le variazioni percentuali interperiodali assumono valori negativi molto consistenti e fanno comprendere meglio quali sono state le componenti che hanno determinato il calo complessivo delle aziende agricole. Prestando attenzione al fatto che il calo numerico di aziende per macrotipologia di utilizzo dei terreni non implica la cessazione delle stesse (5), si può comunque evidenziare il dimezzamento dei pascoli che è sintomatico delle difficoltà che incontra l’agricoltura nelle aree montane ed alto collinari.

Figura 4 – Aziende con terreni a seminativi, legnose e prati-pascoli, variazioni percentuali 2000-2010

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

Le variazioni regionali sono sempre al di sotto delle altre prese a riferimento a conferma di quanto detto precedentemente sulla dinamica complessiva del settore. Le maggiori variazioni delle legnose rispetto ai seminativi rientrano in un fenomeno già noto agli addetti ai lavori che è quello della semplificazione degli ordinamenti colturali ovvero della generale tendenza da parte degli agricoltori di sostituire le attività a maggiore intensità di lavoro con quelle che hanno un fabbisogno minore di manodopera. Il censimento non fa che confermare questa evoluzione sulla quale si ritornerà nelle considerazioni di sintesi.
Gli allevamenti
Per concludere la panoramica sui dati censuari attualmente disponibili, si analizzano di seguito i risultati relativi agli allevamenti in numero ed in consistenza zootecnica. In questo caso il Censimento riserva non poche sorprese fornendo una fotografia del comparto ben diversa dalla rilevazione precedente. La figura che segue mostra l’incidenza delle aziende con allevamenti nei due ultimi appuntamenti censuari ed è netto ed evidente il calo della zootecnia in tutte le aree considerate.

Figura 5 – Aziende con allevamenti, quota sulle aziende agricole totali e variazione 2000-2010

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

Nelle Marche si è passati da quasi 38 mila aziende a 6.500 unità: in termini percentuali è una variazione superiore alla media ripartizionale e ben più elevata della media nazionale. Di fronte a questi numeri viene spontaneo usare una terminologia corrente in questo periodo che è quella di crollo o tracollo della zootecnia ma è opportuno approfondire la questione, utilizzando le scarne informazioni disponibili in attesa dei dati di dettaglio.
Per avere uno sguardo d’insieme sul patrimonio zootecnico censito è utile ricondurre i capi delle singole specie zootecniche ad una unità di misura comparabile che è l’Unità bovina adulta (6) (UBA).
Nel 2000 la dimensione media di un allevamento marchigiano è stata di 7,6 UBA mentre nel 2010 ha raggiunto le 56,8 unità. Già da questo semplice indicatore si evidenzia la profonda trasformazione strutturale che è avvenuta in questo ultimo decennio che occorrerà meglio scomporre nelle due componenti della concentrazione produttiva e/o nella fuoriuscita dei piccoli allevamenti.
Con i dati a disposizione non è possibile quantificare con adeguata precisione il contributo di queste due concause, ma sono possibili alcune deduzioni.

Figura 6 – Composizione del patrimonio zootecnico in UBA, ripartizione per anno ed area

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

Uno sguardo innanzitutto al patrimonio zootecnico nel complesso (fig.6) che mostra la spiccata caratterizzazione marchigiana verso gli allevamenti avicunicoli; viceversa minore è la quota dei bovini e degli ovi-caprini. In termini dinamici queste peculiarità appaiono aumentare rispetto alle altre aree prese a riferimento.
L’espansione delle produzioni avicunicole non è certo un fenomeno recente nelle Marche, essendo un processo che si è manifestato fin dagli anni ’80; la novità rispetto al passato è la rapidità con cui sta aumentando la consistenza media aziendale passata da 140 a 5230 capi nell’ultimo decennio (da 209 a 8150 capi considerando i soli avicoli).
Sono variazioni percentuali a quattro cifre che non riguardano solo le Marche ma anche il Centro e l’Italia nel complesso e sollevano anche qualche perplessità sulla coerenza dei criteri di selettività adottati nelle diverse rilevazioni censuarie. In ogni caso è chiaro che nell’ultimo censimento sono poco presenti i micro allevamenti destinati alle produzioni locali se non all’autoconsumo.
Scorrendo infatti i dati relativi al numero di allevamenti distinti per specie, e considerando solo le principali, si nota che le variazioni negative più elevate sono per suini ed avicoli (oltre l’80%), seguono gli ovicaprini (tra il 50 ed il 70%), mentre per i bovini gli scostamenti intercensuari sono i più bassi e si attestano attorno al 30%.
Ad una successiva valutazione quindi, la forte diminuzione degli allevamenti sembra attribuibile prevalentemente alla scomparsa dei piccoli allevamenti più che ad un generalizzata crisi della zootecnia regionale che in termini di variazione della consistenza mostra anche qualche segno positivo come nel caso dei suini e degli avicoli. Vi sono comunque situazioni che appaiono critiche e che vanno ulteriormente analizzate come nel caso dei bovini la cui consistenza è diminuita del 17% contro il -6% della media italiana.

 

Considerazioni conclusive

L’istantanea censuaria scattata a 10 anni dalla precedente mostra in tutta evidenza il ridimensionamento dell’agricoltura italiana in termini di numero delle aziende e di conseguenza anche di quella marchigiana.
Si tratta di una tendenza ormai decennale, che riguarda tutti i Paesi sviluppati, e solo in parte è influenzata dagli eventi congiunturali, che possono solo accelerarne o rallentarne la velocità.
Gli aspetti che più caratterizzano il contesto marchigiano sono il prevalente orientamento verso la coltivazione di seminativi e la trasformazione strutturale del comparto zootecnico.
Riguardo al primo ambito, molto si è detto in passato, dato che si tratta di un fenomeno noto da diversi anni. Il Censimento però fornisce alcune indicazioni che avranno bisogno di un ulteriore approfondimento: ad esempio il processo di estensivizzazione delle superfici sembra rallentare, almeno rispetto alla media nazionale.
Forse il fenomeno di semplificazione degli ordinamenti colturali ha ormai raggiunto il suo apice e gli agricoltori marchigiani stanno riprendendo in considerazione sistemi produttivi aziendali più articolati e strutturati.
La prevalenza di seminativi è stata funzionale al calo della manodopera in agricoltura, sia perché assorbita, totalmente o parzialmente, da altri settori economici, ma è anche legata all’invecchiamento degli agricoltori e dall’insufficiente ricambio generazionale. Queste dinamiche stanno ora perdendo forza in quanto minore è l’attrazione esercitata dagli altri settori economici per cui chi resta in agricoltura, se l’età e/o le risorse lo consentono, deve investire sul suo futuro imprenditoriale. 
In un contesto generale in cui si vedono più ombre che luci, dove le risorse pubbliche destinate all’agricoltura non potranno che essere decrescenti ed i prezzi sempre più volatili, l’unico percorso possibile per gli agricoltori è quello di migliorare ulteriormente le proprie capacità professionali, considerando tutta la gamma dei prodotti e dei servizi che una azienda agricola è in grado di fornire. Ciò significa affinare non solo le capacità tecnico-produttive, adottando innovazioni di processo e di prodotto, ma sviluppare competenze nel campo dell’organizzazione e della programmazione dell’offerta (es. filiere) e di analisi e attrazione della domanda, includendo in questa anche il fabbisogno di beni di interesse pubblico.
Dall’ultimo Censimento agricolo sembrano emergere alcuni incoraggianti segnali in tal senso come l’aumento delle dimensioni medie aziendali in ettari e capi, che però non devono far dimenticare le migliaia di aziende e di agricoltori che hanno abbandonato l’attività. Questi non sono solo numeri ma storie e tradizioni che si perdono e che impoveriscono il nostro territorio e la nostra cultura.

 

Note

(1) I dati provvisori sono stati prelevati dal sito Istat il 14/11/2011
(2) L’ultimo Censimento ha adottato il campo di osservazione (universo UE) definito dal regolamento europeo n.1166/2000, “costituito dall'universo delle aziende agricole individuato secondo le direttive previste dal regolamento europeo (art. 3 e Allegato II) e adattate alla realtà nazionale. In particolare, fanno parte del campo di osservazione del 6° Censimento generale dell'agricoltura tutte le aziende con almeno 1 ettaro di Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e le aziende con meno di 1 ettaro di SAU ma al di sopra di determinate soglie fisiche regionali stabilite dall'Istat tenendo conto delle specializzazioni regionali degli ordinamenti produttivi. Rientrano nel campo di osservazione anche le aziende zootecniche, purché allevino animali, in tutto o in parte, per la vendita.
(3) Per il 2010 si è tenuto conto della fuoriuscita dei comuni della Valmarecchia.
(4) In uno studio INEA tuttora in corso, si è evidenziato come il processo di rinaturalizzazione abbia interessato tutta la zona appenninica, mentre l’urbanizzazione si è progressivamente spostata negli ultimi decenni dalla costa alle aree interne lungo i principali assi viari.
(5) E’ possibile infatti che l’azienda abbia riorganizzato il riparto delle superfici, rinunciando a una o più delle tre tipologie analizzate.
(6) Si ottiene moltiplicando i valori dei capi per un coefficiente legato al loro consumo alimentare in rapporto a quello di un bovino adulto.

Commenti



Se la s.a.u. della regione marche è prevalentemente coltivata a seminativo come possono essere considerate unità economiche "aziende" che mediamente coltivano 7,9 ha con i quali non si raggiunge una plv di 12.000 euro\anno. Se le Marche sono essenzialmente cerealicole perchè si parla solo di agriturismo, biologico, nicchie, contadini custodi, ... Forse ci si vergogna di essere la seconda regione d'Italia per quantità prodotta di grano duro (in lizza con la Sicilia), di produrre una derrata fondamentale piuttosto che superflua o forse si ritiene agricoltura la diffusione della proprietà rurale in luogo di attività economica di imprese per cui non si fa nulla per la loro crescita dimensionale ed imprenditoriale.




Sebbene dietro una semplice media si nasconda una estrema varietà di casi, che i dati censuari definitivi ci consentiranno di analizzare, è chiaro come le aziende "non imprese" costituiscano una quota consistente della base produttiva marchigiana e di molte altre regioni italiane. Questo significa che numericamente coloro che sono imprenditori agricoli "full time" sono una minoranza anche se ovviamente decisivi sul piano economico. Concordo con la sua affermazione che la politica non sia stata sufficientemente coraggiosa nel promuovere lo sviluppo di "vere" imprese ma probabilmente sa che gli ostacoli per una politica economica selettiva provengono spesso dall'interno dello stesso mondo agricolo. Un sistema produttivo così frammentato è il risultato di una modesta capacità di aggregazione le cui cause non possono essere solo esterne. Per quanto riguarda la sua rimostranza circa la scarsa attenzione verso la cerealicoltura marchigiana, concordo che a livello di immagine attrae più una fattoria didattica che un campo di grano, ma non credo che qualcuno abbia messo in discussione il ruolo centrale del comparto produttivo anche in termini di risorse pubbliche investite.


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