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Politica di coesione e PAC 2014-2020
La posizione delle Regioni sulle proposte di regolamento
Regione Marche
Agrimarcheuropa, n. 1, Marzo, 2012
Introduzione
La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome italiane ha condiviso e approvato alcune osservazioni sulle proposte di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recanti il quadro legislativo della politica di coesione e della Politica agricola comune (PAC) per il periodo 2014/2020. Di fatto ciascuna Assemblea legislativa per mezzo delle Commissioni Affari europei e della Commissione Politiche Agricole ha analizzato le proposte del Parlamento europeo e del consiglio ed è giunta ad approvazione seguendo la procedura early warning prevista dal protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato di Lisbona. Il 16 dicembre dello scorso anno la sessione plenaria della Conferenza ha approvato un documento ponendo particolare attenzione alle competenze legislative concorrenti delle Regioni ed alle tematiche che hanno un forte impatto sui sistemi produttivi, economici e sociali.
Il lavoro svolto rappresenta un esempio del principio di sussidiarietà e di esercizio della governance multilivello nonché evidenzia la capacità delle Regioni di fare sistema sulle problematiche europee, sistema che le Regioni vorrebbero attuare anche con lo Stato, con i Ministeri delle Politiche comunitarie, dell’Agricoltura e dello sviluppo economico al fine di avere un maggior peso politico e determinazione nel sostenere una unica, solida, maturata e condivisa posizione italiana in ambito alle politiche dell’UE con particolare riferimento al momento attuale nel quale si stanno ponendo le basi della programmazione dei fondi strutturali per i prossimi sette anni. Il negoziato con la UE è ormai giunto nella fase decisionale e sempre di più si sta entrando nei dettagli delle proposte per valutarne sviluppi e ricadute nei singoli territori. Con questo spirito interistituzionale, volendo avere un ruolo da protagoniste nelle trattative, le Regioni si sono date tempi e metodi per giungere nelle varie fasi del negoziato a dei documenti condivisi, da proporre nelle opportune sedi.
La Commissione Politiche Agricole, costituita dagli Assessori all’agricoltura delle Regioni Italiane, sta svolgendo ormai da oltre un anno un continuo e costante lavoro di monitoraggio degli orientamenti comunitari prima e delle proposte di regolamento poi, coinvolgendo le parti sociali, i sindacati agricoli in particolare, e richiedendo un forte e adeguato collegamento con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali che è e rimane l’interlocutore della Commissione e che partecipa ai tavoli di settore a Bruxelles.
Per quanto concerne in particolare il negoziato sulla PAC gli Assessori all’agricoltura hanno ripetutamente chiesto ai vari ministri succedutesi in questi anni, Zaia, Galan, Romano e l’attuale Catania, con il quale avevano già condiviso lavori preparatori nella sua funzione di Capo di Dipartimento, di accompagnare, con una loro rappresentanza, la delegazione ministeriale a Bruxelles negli incontri con la Commissione per l’esame degli articolati dei 4 Regolamenti Comunitari. Zaia e Galan non hanno mai dato una risposta alla richiesta, o comunque sono stati evasivi, mentre Romano, fin dal suo insediamento ha chiarito che questa funzione rimaneva una prerogativa ministeriale e che si sarebbero istituiti solo dei tavoli tecnici consultivi Regioni-Mipaf per vagliare le proposte. Gli assessori hanno però consegnato al Ministro un proprio documento chiedendo che costituisse la base della posizione italiana nell’ambito delle trattative.
La posizione delle Regioni nel dettaglio
Entrando nel dettaglio delle posizioni regionali affronteremo prima le tematiche di ordine generale del negoziato per la politica di coesione e per la PAC e poi entreremo nel particolare dei punti ritenuti focali dagli Assessori regionali in ambito ai pagamenti diretti, alle OCM e allo sviluppo rurale.
Le Regioni, innanzitutto, rivendicano un proprio ruolo, un coinvolgimento attivo per intervenire nella fase di costruzione delle politiche poiché sono soggetti fondamentali della politica di coesione, in quanto danno attuazione alla stessa ed hanno responsabilità quali beneficiari e concedenti le risorse assegnate. Oggi non vi sono meccanismi chiari e semplificati e le attuali modalità non permettono una programmazione di tipo bottom up. Tutte le regioni europee vorrebbero influire in maniera significativa nelle scelte degli assi prioritari di investimento garantendo la necessaria flessibilità per il raggiungimento degli obiettivi in considerazione delle esigenze territoriali con attenzione alle molteplici e diversificate specificità territoriali.
Uno degli strumenti della politica di coesione è il contratto di partenariato sottoscritto dallo Stato membro e dalla Commissione. Si tratta di un atto di grande rilievo che definisce contenuti e interventi con i quali uno Stato membro intende tradurre nel proprio territorio gli obiettivi della strategia 2020. Le Regioni non possono non partecipare alla firma ed oggi non sembrano adeguatamente coinvolte nella definizione e nella predisposizione del contratto di partenariato.
Il contratto di partenariato ci conduce all’argomento dell’integrazione dei fondi agricoli nelle politiche di coesione e di sviluppo locale. Come noto è stato previsto lo strumento del contratto, meccanismo che si rileva complesso e oneroso ed assolutamente non innovativo rispetto alle precedenti programmazioni. Per gli stati come l’Italia, che hanno una gestione con programmazioni regionali, la procedura di modifica e di adattamento dei programmi sarebbe lunga ed incerta e non compatibile con l’esigenza di realizzazioni efficaci dei programmi stessi. Le Regioni chiedono la presentazione e la gestione di un quadro finanziario unico nazionale anche in presenza di programmi regionali. Insieme a ciò si rende indispensabile una semplificazione della struttura di modifica del partenariato ed un reale alleggerimento della condizionalità ex ante. L’integrazione dei fondi, obiettivo più che condiviso, dovrebbe però comportare anche integrazione dei sistemi di gestione e di controllo.
Anche la condizionalità macroeconomica è un forte rischio per le Regioni. Questo meccanismo, con il quale l’UE può bloccare il trasferimento alle Regioni beneficiarie di fondi comunitari per il mancato rispetto di parametri economici e finanziari che regolano i rapporti tra Stati, non può essere condizione per l’assegnazione di fondi agli Enti locali in quanto non attiene a variabili imputabili alle Regioni riguardo alla qualità e all'efficacia nell’utilizzo dei fondi. Si riverserebbero così sulle Regioni responsabilità imputabili al Governo centrale ed agli accordi fra gli stati.
Altri due sono poi gli argomenti su cui le Regioni si sono soffermate per una proposta operativa al Consiglio Europeo e al Parlamento: l’ammissibilità al cofinanziamento delle spese sostenute degli enti pubblici a titolo di IVA e il disimpegno automatico.
Sull’IVA, con la programmazione 2007/2013 si è creata non poca confusione con forte disagio per tutte le amministrazioni pubbliche che si sono viste diminuire, se non altro in termini di valore, gli interventi programmati. Le norme attuali non appaiono chiare e le Regioni sostengono, oltre alla opportunità di formulare un quadro normativo più rispondente alle esigenze operative, la necessità di non gravare ulteriormente sui bilanci di enti pubblici che, non potendo rendicontare l’IVA, rischiano di compromettere la realizzazione degli interventi influendo negativamente sull’efficacia delle politiche che si intende sostenere. Le Regioni sono in linea con la Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo che ha presentato una puntuale e condivisibile proposta di modifica del regolamento 1698/05 al fine di superare la situazione vigente. Si ritiene che tale formula possa essere adottata anche per la prossima programmazione.
La Regola del cosiddetto N+2 prevede il disimpegno automatico dei fondi comunitari non utilizzati entro due anni dall’impegno. Nel caso di gestione di risorse assegnate alle Regioni si rende necessario applicare tale regola a livello di Stato membro e non di singola autorità di gestione regionale. I fondi “non utilizzati” da una Regione potranno così rimanere assegnati allo Stato membro e ripartiti fra le Regioni che garantiscono performance di spesa elevate. L’N+2, tra l’altro, penalizza in maniera forte tutti gli Stati che sono contribuenti netti dell’UE come l’Italia.
Per la Politica Agricola Comunitaria la posizione delle Regioni espressa dagli Assessori all’agricoltura, come già accennato, vuole essere un supporto concreto all’azione ministeriale nel negoziato sulle proposte legislative avanzate dalla Commissione Europea. Non è stato facile mettere insieme Regioni tanto diverse fra loro e redigere un documento unico. Tecnici prima e assessori poi si sono confrontati in maniera aperta con l’obiettivo costruttivo di poter dare un contributo fattivo, tutti con l’intento di rappresentare a Bruxelles una posizione unica, determinata e forte che potesse avere incisività nella proposta dei nuovi regolamenti a beneficio dell’agricoltura italiana e della collettività rurale.
Gli Assessori hanno in primo luogo criticato la riforma che non va incontro, se non solo in parte, agli obiettivi definiti dalla Comunicazione: ” The CAP towarrds 2020: meeting the food, natural resources and terriorial challenge of the future”. Le proposte avrebbero dovuto avere quali obiettivi prioritari :
- la salvaguardia del potenziale agricolo europeo;
- la remunerazione dei beni pubblici prodotti dal settore agricolo e dai territori rurali;
- l’incremento e la valorizzazione della garanzia nella qualità e sicurezza degli alimenti;
- gli interventi per superare l’instabilità dei mercati e mitigare gli impatti sui redditi;
- l’orientamento verso un maggiore sostenibilità ambientale;
- la semplificazione e l’abbattimento del carico burocratico.
Anche dove le proposte prendono in considerazione questi obiettivi le soluzioni prospettate non sono coraggiose, non sono determinanti e sicuramente sono poco incisive. Non si è poi tenuto conto delle espressioni del Parlamento Europeo che aveva sottolineato l’esigenza di una maggiore flessibilità dell’intervento per fronteggiare eventuali stati di crisi che si sono manifestati a ritmi ed intensità preoccupanti negli ultimi anni.
Dopo queste considerazioni generali, il primo nodo affrontato dal documento degli Assessori è quello della redistribuzione delle risorse. L’approccio proposto non tiene assolutamente conto delle differenze sociali, economiche e strutturali dei territori rurali e non rispetta il richiamato documento che prevedeva tra l’altro di evitare drastiche riduzioni di budget. Il sistema proposto danneggia soprattutto i sistemi agricoli a più elevata intensità di lavoro e l’Italia, come si è potuto constatare dalle prime proiezioni, va a subire una perdita (a prezzi costanti) di circa il 19% delle risorse rispetto alla attuale assegnazione 2007/2013. E’ assolutamente necessario prevedere un riparto fra gli Stati membri sulla base non solo della superficie agricola utilizzata ma unitamente al valore della produzione lorda vendibile (PLV) riparametrando l’entità dell’aiuto al diverso potere di acquisto esistente tra gli Stati.
Altro argomento di discussione e di proposta è stato quello della convergenza, il passaggio dal riferimento storico dei pagamenti alla regionalizzazione. La Commissione non ha concesso la necessaria flessibilità con la messa in dubbio della tenuta di importanti comparti agricoli. Le Regioni italiane intendono consentire agli Stati membri una maggiore gradualità nel completare il processo di convergenza. Conoscendo il panorama dei valori espressi dai titoli di pagamento ai riferimenti storici appare evidente come il passaggio repentino ad un pagamento uniforme determinerebbe la crisi di diversi comparti e di interi sistemi agricoli. Molto spesso si tratta di comparti per i quali l’apporto di lavoro per unità di superficie o bestiame è molto elevato e che per questo sono più esposti di altri ai rischi del mercato. Si propone che il periodo di transizione possa essere portato a 12 anni, mentre il 1 gennaio 219 potrebbe essere il termine ultimo per portare il peso dei riferimenti storici ad un livello pari al 50%. L’uniformità dei valori su base nazionale, o regionale, dovrebbe essere ricondotta quale termine ultimo al 1.1. 2026.
Nell’ambito delle proposte orizzontali si è posto l’accento in primo luogo sull’esigenza di rivedere la struttura stessa dei regolamenti al fine di garantire che la definizione delle strategie e degli strumenti applicativi per il loro perseguimento siano adottati dagli organi politici dell’Unione europea lasciando alla Commissione solo il compito esecutivo di tali scelte.
Si ravvisa la necessità di una decisa innovazione per l’introduzione di strumenti di semplificazione con particolare attenzione alle aziende di piccole dimensione, agli interventi di ridotta portata economica e a quelli con elevata numerosità e alla possibilità di adottare pagamenti in base ai costi standard.
In temi di controlli è necessario introdurre il criterio di proporzionalità tra l’entità degli aiuti erogati e l’analisi del rischio. A tal riguardo non si può non rendere coerenti le procedure gestionali fra sviluppo rurale e fondi strutturali introducendo procedure di controllo semplificate anche per il FEASR come già proposto per i fondi strutturali. In ultimo è stato proposto di introdurre una forte accelerazione dell’informatizzazione dei dati gestionali per semplificare i processi di monitoraggio e la costruzione di indicatori semplici e uniformi.
Le priorità di carattere ambientale, sicuramente condivisibili quale obiettivo, non hanno trovato soluzioni che tenessero conto delle caratteristiche di agricolture molto diverse negli Stati membri, ma hanno invece condotto a complicazioni burocratiche per agricoltori e apparati pubblici di controllo. Particolare preoccupazione ha destato poi la sovrapposizione esistente tra condizionalità, greening e politiche ambientali del secondo pilastro nonché quella fra la programmazione dello sviluppo rurale e dei fondi di coesione strutturale.
Affrontando la proposta del greening, questa rappresenta una super condizionalità subordinando una quota consistente dei pagamenti di base all’applicazione di pratiche agricole finalizzate a tutelare l’ambiente e il clima. La proposta non appare del tutto chiara, a volte sembra contraddittoria sia rispetto agli obiettivi ambientali attesi sia rispetto alla sostenibilità economica degli impegni da assumere. Condividendo la filosofia che sottostà all’introduzione del greening, gli Assessori hanno espresso una reale preoccupazione sulle modalità individuate che non tengono conto delle caratteristiche pedoclimatiche dei singoli territori e della sostenibilità economica per gli operatori agricoli. Si propone pertanto di lasciare ai singoli Stati con il concorso delle Regioni la possibilità di individuare, partendo dalle caratteristiche dei territori, le colture che rivestono un ruolo benefico per l’ambiente e il clima con particolare riferimento alla capacità di sequestro della CO2 consentendo loro di equiparare altre colture alla previsione di proposta di regolamento. Anche il set di misure greening dovrà essere ampliato tenendo conto delle peculiarità ambientali e delle caratteristiche produttive anche dell’agricoltura mediterranea. In questo caso lasciare allo Stato membro, o alle regioni, sufficiente flessibilità, adottando il principio di sussidiarietà garantirà il rispetto delle diversità ed il raggiungimento dell’obiettivo su vasta scala. Le Regioni temono inoltre un appesantimento del carico burocratico in capo agli agricoltori ed una maggiore complessità dei controlli. Per questo si esorta il legislatore europeo ad adottare soluzioni che possano snellire le pratiche burocratiche facendo riferimento anche all’attuale gestione dei requisiti di condizionalità. Per rendere la politica degli aiuti diretti al greening una componente ecologica con impatto positivo si ritiene, oltre all’ampliamento del set di misure e a quanto detto in precedenza, si dover ridurre al 20% la componente ambientale, elevare all’80% la quota massima di superficie occupata da una singola coltura, prevedere l’uso del set aside ecologico come terza coltura, ridurre al 3% la superficie del set aside ecologico, equiparare le colture legnose agrarie al prato permanente, inserire fra gli agricoltori che hanno diritto al premio per il greening quelli con aziende ubicate in tutto o in parte in zone svantaggiate. In ultimo si chiede che le risorse eventualmente non utilizzate per la componente greening vengano mantenute nello Stato membro, come avviene per il capping, e trasferite nel secondo pilastro, finalizzandole ad interventi di natura ambientale.
Per quanto concerne la componente accoppiata del pagamento unico tutte le Regioni hanno inteso aumentare al 20% il totale del budget dedicato dai singoli Stati membri a tali pagamenti anche al fine di fronteggiare crisi di mercato. Anche per la gestione degli aiuti accoppiati deve essere garantita la massima flessibilità non limitando, tra l’altro, il novero dei comparti produttivi al fine di tenere conto di tutte le eventuali situazioni di crisi con particolare riferimento agli impatti occupazionali che da esse possono generarsi.
Per gli aiuti ai giovani del primo pilastro è alquanto opportuno anche qui prevederne una applicazione a livello regionale con un tetto del budget disponibile fino al 5% tenendo così conto delle diversità demografiche che caratterizzano i diversi contesti rurali. Anche il numero massimo di ettari cui riconoscere un contributo maggiorato dovrà essere raddoppiato se si vuole che tale misura abbia la opportuna efficacia.
Dalla proposta della Commissione come già detto non emerge una politica specifica e adeguata a sostegno dei prodotti di qualità; si propone pertanto l’attivazione, a discrezione degli Stati membri, di una componente volontaria per il sostegno delle produzioni di qualità certificate, entro la quota massima del 2% del massimale nazionale.
Circa la definizione di agricoltore attivo, la proposta della commissione non sembra cogliere le sollecitazioni avanzate dalla Corte, quando invece questa componente doveva rappresentare una vera novità per far sì di orientare i benefici della PAC non tanto verso i proprietari fondiari ma verso le imprese impegnate sul mercato. Per questo, comprendendo la difficoltà di individuare una norma comune nel rispetto delle diverse realtà europee, serve più flessibilità e sussidiarietà rinviando la definizione di agricoltore attivo a specifiche normative nazionali permettendo una maggiore adesione di questo concetto fondativo alle realtà produttive e alle caratteristiche di ciascuno Stato europeo.
Per quanto concerne l’OCM unica la commissione politiche agricole si è soffermata soprattutto sull’organizzazione dei produttori e l’organizzazione interprofessionale valutando le proposte operative non coerenti con gli orientamenti del parlamento e del Consiglio europeo. L’obiettivo di prevenire la volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli e di migliorare l’organizzazione della catena alimentare è stato affrontato in maniera troppo blanda dalla Commissione. Si doveva tenere presente i buoni risultati ottenuti dal comparto dell’ortofrutta che è stato dotato di risorse, senza cofinanziamento da parte dello Stato membro, sia per la loro costituzione ed avvio che per la loro gestione. In questo caso invece nelle soluzioni offerte dalla commissioni le OP vengono relegate unicamente nel secondo pilastro relativo allo sviluppo rurale con incentivi inadeguati. Le Regioni ritengono che lo strumento delle organizzazioni dei produttori possa essere valido per raggiungere gli obiettivi di mercato ma che detti strumenti debbano essere interamente trasferiti nell’OCM unica quindi nel primo pilastro e rafforzati.
Il documento degli Assessori prende in esame anche la soppressione delle quote zucchero a partire dalla data del 30 settembre 2015, scelta che è destinata a destabilizzare ulteriormente il comparto bieticolo-saccarifero italiano che ha subito una profonda ristrutturazione lasciando pieno campo alla bieticoltura del nord Europa. Anche in questo caso è necessaria una maggiore flessibilità per orientare la produzione al mercato tenendo presente il prezzo e gli stock mondiali di zucchero. Anche per i vigneti è prevista la liberalizzazione degli impianti dal 2015. Tuttavia le disposizioni specifiche non risolvono il problema dei diritti di reimpianto e viene ritenuto necessario offrire ai produttori vitivinicoli garanzie circa gli investimenti finora realizzati attraverso regole ben definite e processi di differenzazione e valorizzazioni delle produzioni. Nel settore lattiero, al fine di traghettarlo verso il superamento della politica delle quote, si propone di mantenere l’obbligo per i primi acquirenti di dichiarare mensilmente la produzione di latte ritirata e per i produttori, che vendono direttamente, la produzione annuale immessa sul mercato. In questo modo si mantiene un monitoraggio costante della produzione elemento essenziale per il mercato e per supportare al meglio i rapporti contrattuali.
Sullo sviluppo rurale le osservazioni e le proposte delle Regioni sono state limitate a tematiche di ordine generale non entrando nella specificità delle misure e lasciando queste ultime a future analisi con il prosieguo del negoziato.
Considerazioni conclusive
Possiamo riassumere le proposte più importanti nei seguenti punti:
- Porre attenzione ai problemi connessi alle integrazioni tra gli strumenti comunitari compresa la proposta di integrazione della programmazione tra fondi.
- Eliminare la condizionalità macroeconomica che penalizzerebbe i Paesi in difficoltà indipendentemente dalle loro capacità gestionali precludendo a Stati come l’Italia la possibilità di avere importanti fondi finanziarie e quindi di dare impulso alla crescita economica e al superamento delle difficoltà.
- Rendere coerente con gli obiettivi la condizionalità ex ante.
- Prevedere regole gestionali coerenti con altri fondi strutturali, come il disimpegno automatico (N+ 3 per il primo anno).
- Ripristinare l’anticipazione del 7% per dare un volano finanziario fondamentale per un tempestivo avvio delle iniziative programmate ed evitare i rischi di disimpegno.
- Per il contratto di partnership si propone una forma leggera limitandosi ad un quadro sintetico nazionale, alle priorità per lo sviluppo rurale, e agli obiettivi tematici dei fondi strutturali, con pochi e oggettivi criteri/indicatori di realizzazione e di risultato.
- Tutti gli strumenti di stabilizzazione del reddito dovranno essere riportati sul primo pilastro in modo che ci sia pertinenza e coerenza con gli obiettivi ed una adeguata applicabilità gestionale che deve essere semplice, dinamica, tempestiva. Tali strumenti inseriti nello sviluppo rurale e quindi con una gestione a livello locale comporterebbe fenomeni distorsivi della concorrenza o quanto meno una forte disomogeneità a livello comunitario anche per il suo legame alla capacità di cofinanziamento degli Stati e delle Regioni.
Con riferimento alle misure, si ritiene:
- di accorpare le misure relative alla tematica ambientale e forestale, declassando le attuali misure ad azioni per rendere la gestione più flessibile ed efficace,
- di rivedere le linee di intervento per le produzioni di qualità quindi potenziandole e dando loro una portata strategica,
- di reintrodurre la misura per la promozione delle produzioni di qualità sui mercati interni.
Il lavoro della Commissione Politiche Agricole continua incessantemente attraverso la convocazione di tavoli tecnici interregionali che esaminano sempre più nello specifico interventi e misure della riforma PAC e che seguono gli sviluppi del negoziato. Periodicamente si giunge alla formulazione di osservazioni e proposte che vengono vagliate dagli assessori, i quali, per mezzo di un confronto tra loro e con le organizzazioni agricole, tenendo conto anche delle analisi eseguite a livello della singola regione, pervengono ad un aggiornamento del documento di sintesi. Il documento aggiornato viene presentato alla Conferenza dei Presidenti e, successivamente alla sua approvazione, va a rappresentare la posizione ufficiale aggiornata delle Regioni sulla PAC 2014-2020 da consegnare al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali perché ne tenga in debito conto in fase di trattativa.