Una iniziativa di Agriregionieuropa al servizio del territorio e dell’agricoltura delle Marche Andrea Bonfiglio, Franco Sotte Università Politecnica delle Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Con questo numero di apertura nasce Agrimarcheuropa, un’iniziativa Agriregionieuropa dell’Associazione “Alessandro Bartola” che mira ad avviare una riflessione collettiva sul presente e sul futuro dell’agricoltura marchigiana e sul contributo delle aree rurali allo sviluppo regionale complessivo. In realtà sarebbe più appropriato parlare di “rinascita”, in quanto l’idea di lanciarci nel progetto di una rivista on-line e di un sito di approfondimento scientifico quale è oggi Agriregionieuropa (480 mila contatti, 800 articoli pubblicati, una rete estesa di 550 collaboratori, corsi e-Learning e altri utili servizi), nasce ancor prima con la realizzazione nel 2004 di una prima iniziativa on-line, chiamata appunto Agrimarcheuropa, alla quale seguì la pubblicazione di un libro di documentazione e analisi. Dalla sua fondazione, Agriregionieuropa è cresciuta notevolmente divenendo un punto di riferimento elettivo per la comunità scientifica e tutti gli attori dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. Con Agrimarcheuropa, quell’esperienza è ora estesa ad un servizio specifico per le Marche con l’obiettivo di creare nella regione un ponte tra istituzioni, territorio e ricerca e, allo stesso tempo, di facilitare la partecipazione e l’accesso alle politiche pubbliche. Agrimarcheuropa si propone una piena collaborazione con la Regione Marche, in particolare con il servizio agricoltura, forestazione e pesca, con l’Osservatorio agroalimentare delle Marche e con l'Istituto nazionale di economia agraria. Priorità assoluta sarà di fornire supporto alla definizione delle strategie di programmazione dello sviluppo rurale 2014-2020, attività questa che si presenta particolarmente complessa nell’attuale situazione economica e in un quadro normativo comunitario molto dinamico. Una prima iniziativa già realizzata in collaborazione con la Regione Marche è un sondaggio sulla politica agricola e di sviluppo rurale, già online nel sito da qualche settimana e aperto a tutti gli agricoltori marchigiani che vogliano contribuire al miglioramento della futura politica di sviluppo rurale. I risultati del sondaggio saranno pubblicati nei prossimi numeri. Agrimarcheuropa punta sulle nuove tecnologie informatiche e sulla multimedialità come mezzi per favorire il dibattito e il coinvolgimento nel processo decisionale di tutti i protagonisti dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. Per i suoi scopi, comprende una rivista on-line di informazione e approfondimento e una serie di servizi rivolti agli attori e protagonisti del mondo agricolo e rurale delle Marche (primi fra tutti, gli agricoltori). La rivista Agrimarcheuropa si compone di tre sezioni principali: ricerche, proposte e politiche. Altre rubriche si aggiungeranno in relazione ai contenuti che saranno sviluppati nel corso dell’iniziativa. Il primo numero della rivista si apre con un’intervista al vice Presidente e Assessore regionale all’agricoltura, Paolo Petrini. Ad essa seguono, nella rubrica ricerche, una prima valutazione sull’immagine ancora abbozzata dell’agricoltura marchigiana che emerge dai primi dati del censimento dell’agricoltura del 2010 ed alcuni risultati sugli accordi agroambientali di area. Nello spirito della partecipazione e dell’apertura al mondo scientifico e alle categorie agricole, questo numero raccoglie poi le risposte ad alcuni quesiti che abbiamo posto a docenti universitari e ai presidenti delle maggiori organizzazioni agricole della regione. Nei prossimi numeri, cercheremo di coinvolgere altri portatori di interesse quali le centrali cooperative, gli ordini professionali e le associazioni ambientaliste. In questo numero sono inoltre presenti alcuni interventi di responsabili della politica regionale. Agrimarcheuropa è ancora in gran parte da sviluppare negli obiettivi e nei contenuti. Molto dipenderà dall’interesse che l’esperimento saprà suscitare, dai suggerimenti che saranno raccolti, dalla disponibilità di altri a farsi parte attiva e dal sostegno che la rivista saprà attirare. L’auspicio è che questa iniziativa abbia la capacità di mettere radici e divenire un luogo di dibattito ampio e partecipato nel processo di definizione e valutazione delle politiche territoriali di sviluppo.
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Paolo Petrini Regione Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Il vice Presidente e Assessore all'agricoltura della Regione Marche, Paolo Petrini, risponde ad una intervista di Franco Sotte, direttore responsabile di Agrimarcheuropa.
Per guardare il video dell'intervista clicca qui.
1) Si avvia con questo numero di AGRIMARCHEUROPA una nuova iniziativa on-line al servizio della regione Marche. Uno spazio, allo stesso tempo, di analisi scientifica, di informazione e di partecipazione. L’iniziativa si inquadra nell’esperienza di AGRIREGIONIEUROPA, che è un progetto affermato a livello nazionale e internazionale, nato però, non a caso, nelle Marche. Quali le Sue aspettative con AGRIMARCHEUROPA? Quali sono i suoi suggerimenti?
A seguito del successo già avuto dall’iniziativa Agriregionieuropa, crediamo che questo rapporto con le Università possa darci lo strumento che consenta a tutti di fornire il proprio contributo e dal quale poter attingere materiali volti a migliorare la propria attività professionale, il proprio bagaglio di conoscenze e in ultimo le proprie performance. Mi riferisco agli enti, primi fra tutti la Regione, ma anche alle associazioni e agli stessi agricoltori. In particolare su questi ultimi bisognerà puntare l’attenzione. Purtroppo, la complessità della programmazione comunitaria fa sì che l’attenzione si sposti spesso su elementi molto teorici, trascurando a volte i beneficiari ultimi dell’azione politica. Ciononostante, l’obiettivo della Regione è di aprirsi maggiormente al mondo agricolo anche esponendosi a possibili critiche, come già avvenuto con il lancio del sondaggio sul PSR 2007-2013 nell’ambito dell’iniziativa Agrimarcheuropa. Credo che il rapporto con gli agricoltori debba essere più diretto e non debba essere solo mediato attraverso quella che è l’iniziativa, seppur positiva, delle associazioni di categoria. Dialogando direttamente con gli agricoltori, la Regione intende dotarsi di strumenti più efficienti e adeguati rispetto al passato ai fini della programmazione dello sviluppo rurale e dell’identificazione delle migliori azioni da mettere in campo.
2) Uno dei temi centrali di AGRIMARCHEUROPA sarà quello della futura politica di sviluppo rurale relativa al periodo dal 2014 al 2020. Con l‘inizio del 2012 saremo a due anni dal suo avvio. La Regione Marche ha già investito molte energie nella politica di sviluppo rurale 2007-2013. Quali priorità ritiene ci si debba dare nella prospettiva del 2020?
Abbiamo investito tante energie nella politica di sviluppo rurale, tanto che, avendo di fatto terminato tutti i fondi che avevamo a diposizione, riteniamo molto lontana la meta del 2014. Guardiamo con apprensione questo periodo che ci separa dal 2014, anno a partire dal quale dovranno essere emanati nuovi bandi che siano pienamente utili per il nostro territorio. Abbiamo puntato molto sull’attuale politica di sviluppo rurale soprattutto riguardo a questioni che vorremmo ulteriormente rilanciare nel prossimo periodo di programmazione 2014-2020, con riferimento in particolare alla componente legata alla competitività delle aziende dove integrazione e aggregazione che ad oggi sono state parole chiave, domani dovranno divenire assolute realtà. Sarà inoltre importante concentrare le risorse a disposizione su quelle esperienze che maggiormente siano in grado di valorizzare i fondi pubblici che saranno messi a disposizione. E' chiaro poi che la Regione Marche dovrà impegnarsi nella soluzione di problemi specifici che riguardano il territorio, quale l’invecchiamento della nostra componente agricola, e nel sostegno a favore dei giovani agricoltori, come richiesto dalla strategia Europa 2020. Accanto a queste priorità, la Regione porterà avanti anche politiche per la qualità ed azioni che consentano all’agricoltura marchigiana di accrescere il proprio valore aggiunto a livelli maggiori di quelli attuali.
3) L’agricoltura regionale in particolare arriverà al giro di boa del 2013 ancora con alcuni problemi seri: basso numero di addetti, notevole invecchiamento, scarso coordinamento tra imprese, una specializzazione cerealicola che rischia di essere penalizzata dalla futura riforma della PAC. Quali sono a suo avviso gli orientamenti che l’agricoltura e l’agro-alimentare delle Marche dovrebbero prendere e quali le leve principali per favorire il ricambio generazionale, il rilancio imprenditoriale e il recupero di competitività?
Questo è purtroppo lo scenario che abbiamo di fronte, scenario complesso non facile da risolvere e in tempi brevi. Attraverso la programmazione attuale abbiamo cercato di fornire incentivi al cambiamento, dando l’opportunità alle varie componenti del mondo agricolo di aggregarsi e integrarsi perché attraverso le filiere si potesse recuperare valore aggiunto. Nella programmazione futura, questa non dovrà essere più una opportunità ma una esclusività degli strumenti che saranno implementati con le risorse finanziarie messe a disposizione. Credo che le esperienze che abbiamo avuto siano abbastanza indicative di quello che potrà essere il futuro . Ho una opinione positiva riguardo ai risultati che abbiamo raggiunto. Uno di questi è che, malgrado le difficoltà, moltissimi agricoltori sono ormai entrati in un modo di pensare diverso rispetto al passato, in cui “lo stare insieme agli altri” costituisce un fatto assolutamente ineludibile. Partendo da questo nuovo modo di pensare, la Regione intende ringiovanire la platea dei nostri conduttori agricoli così da evitare quella semplificazione colturale alla quale abbiamo assistito fino ad oggi e che ha fatto aumentare notevolmente la superficie coltivata a cereali. La Regione Marche punta poi su un obiettivo chiaro legato al miglioramento delle componenti maggiormente qualitative del comparto agricolo non solo per recuperare valore aggiunto ma anche per attrarre i più giovani, proponendo loro un modo diverso di essere agricoltori, basato su competenze, conoscenze, e una visione più orientata al mercato e alla competitività.
4) La ruralità nella regione Marche assume una rilevanza particolare sia per la lontananza dalle grandi aree metropolitane del Paese sia per l’assenza all’interno della regione di grandi poli urbani. La ruralità, d’altra parte, è una componente peculiare del patrimonio storico, paesaggistico, culturale, sociale ed anche economico delle Marche. Come potrebbe questa specificità diventare un punto di forza dello sviluppo regionale?
Sono d’accordo. Il nostro spazio rurale è certamente una delle componenti maggiormente originali delle Marche, del suo territori, della sua identità fatta di cultura e tradizioni che influenzano il nostro modo di essere. La nostra è una regione policentrica, che spesso dà l’impressione di essere multicentrica, avendo territori che possiedono le risorse necessarie per essere autonomi. Lo spazio rurale non solo consente di vivere il territorio come avviene oggi per la maggior parte dei cittadini marchigiani, ma permette anche di stabilire relazioni nuove che abbiamo già iniziato a sperimentare. Faccio riferimento per esempio alla legge, che è stata approvata di recente, sull’agricoltura sociale. Laddove si riuscisse a far svolgere nelle aree rurali e in quelle periurbane alcuni dei servizi sociali principali come quelli dedicati all’infanzia, agli anziani e agli individui disagiati, si ridurrebbero i costi del welfare e si mostrerebbero ai cittadini marchigiani le enormi potenzialità in termini di valori e risorse ancora inespresse che il mondo rurale è in grado di offrire.
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Una lettura dei dati provvisori del Censimento 2010 Andrea Arzeni Istituto Nazionale di Economia Agraria Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Introduzione
La complessa macchina censuaria ha prodotto nei mesi scorsi i primi risultati che seppur provvisori e parziali consentono di delineare un quadro aggiornato delle caratteristiche strutturali delle aziende agricole e della loro evoluzione di lungo periodo. Alla data di stesura di questo articolo, i dati disponibili per le Marche si riferiscono a pochi aggregati a livello regionale, e non è ancora presente il dettaglio provinciale (1). I risultati provvisori si riferiscono al numero di aziende e alla superficie investita, distinta in alcune grandi categorie; alla consistenza zootecnica a livello di specie allevata.
Le aziende e le superfici
Una delle maggiori aspettative poste sul Censimento era legata alla numerosità delle strutture produttive, ovvero alla quantificazione del calo progressivo delle aziende che ormai caratterizza l’evoluzione del settore agricolo negli ultimi decenni, non solo regionale. Il confronto tra i due ultimi censimenti conferma questa contrazione che però nelle Marche assume una dimensione relativa inferiore rispetto alla dinamica nazionale e del Centro Italia (Figura 1).
Figura 1 – Aziende, SAU e superficie totale aziendale, variazioni percentuali 2000-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Questo minore calo regionale rispetto alle altre aree di riferimento rappresenta un elemento di novità rispetto al passato, sul quale si ritornerà in seguito. Nella stessa figura sono rappresentate le variazioni relative della superficie agricola utilizzata e di quella totale, anche queste negative ma tutte nettamente inferiori al calo percentuale delle aziende. Da questo fatto si desume che sono fuoriuscite prevalentemente le aziende di minore dimensione, in termini di superfici, e/o che i terreni dismessi sono stati recuperati ed accorpati dalle unità produttive che sono rimaste. In effetti dal precedente censimento del 2000 le dimensioni medie aziendali sono cresciute sia in termini di SAU che di superficie totale (SAT). Nelle Marche si è passati da 8 a 10,2 ettari di SAU media (da 11 a 13,6 la SAT) restando su valori significativamente superiori alle corrispondenti medie nazionali (SAU 7,9 e SAT 10,6), in quanto l’agricoltura regionale ha un forte orientamento produttivo cerealicolo estensivo. C’è da notare però come le corrispondenti variazioni percentuali siano nettamente inferiori per le Marche ed è il segnale che il fenomeno è avvenuto ad una velocità più bassa rispetto al resto del Paese. Un ulteriore aiuto interpretativo sui fenomeni evolutivi di lungo periodo è offerto dalla figura che segue, dove sono stati considerati i risultati censuari a partire dal 1970.
Figura 2 - Aziende e SAU, confronto Marche-Italia (1970=100)
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Il grafico mostra l’andamento indicizzato su base 1970 del numero di aziende e della SAU, e consente un confronto diretto tra le dinamiche regionali e nazionali. Si nota subito il dimezzamento numerico delle aziende nel giro di 40 anni: nelle Marche si è passati dalle oltre 100 mila aziende del 1970 alle attuali 46 mila. Per quanto la definizione di azienda come oggetto di rilevazione censuaria, è più ampio di di quello dell’impresa economica (2), è indubbio che il fenomeno di ridimensionamento della base produttiva sia stato comunque imponente. L’ampliamento dell’orizzonte temporale evidenzia inoltre come il minore calo relativo delle aziende agricole marchigiane registrato nell’ultimo censimento, abbia consentito un recupero rispetto al passato ed un riallineamento alla dinamica nazionale. Con le informazioni attuali non è possibile affermare se si tratti di un rallentamento del declino o se questo nelle Marche è avvenuto anticipatamente, in ogni caso in un contesto generale comunque negativo, la situazione regionale appare leggermente migliore (o più correttamente meno sfavorevole). Per quanto riguarda l’evoluzione della SAU è avvenuto per certi versi il contrario, ovvero la diminuzione delle superfici si è manifestata più rapidamente in Italia rispetto alle Marche che mantengono nel 2010 un margine positivo seppure ridotto rispetto alla precedente rilevazione censuaria. Dal 1970 la SAU nelle Marche è passata da 616 a 473 mila ettari, mentre la superficie aziendale totale da 846 a 632 mila ettari. Nel complesso la quota di superficie territoriale (3) gestita dagli agricoltori è scesa dall’87% al 68%, ovvero 214 mila ettari di territorio sono stati “assorbiti” dai processi di urbanizzazione o viceversa di rinaturalizzazione (4).
Le coltivazioni
Restando nell’ambito della SAU, è possibile analizzare la sua composizione in tre macrocategorie: seminativi, legnose e prati-pascolo. L’Istat fornisce anche il dato sugli orti familiari le cui superfici però sono irrilevanti rispetto alle tre principali componenti (mentre è consistente il numero di aziende).
Figura 3 – Composizione della SAU, confronto Marche/Centro/Italia
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
La comparazione territoriale mette subito in evidenza la prevalenza delle superfici a seminativi nelle Marche che costituiscono l’80% della SAU contro il 54% della media nazionale. In valore assoluto i seminativi regionali coprono una superficie di poco superiore ai 377 mila ettari e sono diminuiti di oltre 14 mila ettari dal 2000, ma questo calo è stato in linea con la contrazione totale della SAU (o più precisamente l’ha determinata), per cui è rimasta immutata la quota percentuale. All’elevata incidenza dei seminativi fanno riscontro le minori quote delle legnose e dei prati-pascoli, e le loro variazioni intercensuarie segnalano una sostanziale staticità della composizione della SAU che si contrae in egual misura per tutti i tre principali aggregati presi in considerazione. L’unica nota da evidenziare è relativa alla variazione negativa delle superfici pascolive che raggiungono il -17% nel Centro Italia contro il -3% nelle Marche e il +2% in media nazionale. Il fenomeno è sicuramente legato, come si vedrà in seguito, al calo degli allevamenti ed in particolare di quelli estensivi, che sembra aver interessato maggiormente le regioni centrali anche se il dato marchigiano appare più contenuto. Passando dagli ettari al numero delle aziende, le variazioni percentuali interperiodali assumono valori negativi molto consistenti e fanno comprendere meglio quali sono state le componenti che hanno determinato il calo complessivo delle aziende agricole. Prestando attenzione al fatto che il calo numerico di aziende per macrotipologia di utilizzo dei terreni non implica la cessazione delle stesse (5), si può comunque evidenziare il dimezzamento dei pascoli che è sintomatico delle difficoltà che incontra l’agricoltura nelle aree montane ed alto collinari.
Figura 4 – Aziende con terreni a seminativi, legnose e prati-pascoli, variazioni percentuali 2000-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Le variazioni regionali sono sempre al di sotto delle altre prese a riferimento a conferma di quanto detto precedentemente sulla dinamica complessiva del settore. Le maggiori variazioni delle legnose rispetto ai seminativi rientrano in un fenomeno già noto agli addetti ai lavori che è quello della semplificazione degli ordinamenti colturali ovvero della generale tendenza da parte degli agricoltori di sostituire le attività a maggiore intensità di lavoro con quelle che hanno un fabbisogno minore di manodopera. Il censimento non fa che confermare questa evoluzione sulla quale si ritornerà nelle considerazioni di sintesi. Gli allevamenti Per concludere la panoramica sui dati censuari attualmente disponibili, si analizzano di seguito i risultati relativi agli allevamenti in numero ed in consistenza zootecnica. In questo caso il Censimento riserva non poche sorprese fornendo una fotografia del comparto ben diversa dalla rilevazione precedente. La figura che segue mostra l’incidenza delle aziende con allevamenti nei due ultimi appuntamenti censuari ed è netto ed evidente il calo della zootecnia in tutte le aree considerate.
Figura 5 – Aziende con allevamenti, quota sulle aziende agricole totali e variazione 2000-2010
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Nelle Marche si è passati da quasi 38 mila aziende a 6.500 unità: in termini percentuali è una variazione superiore alla media ripartizionale e ben più elevata della media nazionale. Di fronte a questi numeri viene spontaneo usare una terminologia corrente in questo periodo che è quella di crollo o tracollo della zootecnia ma è opportuno approfondire la questione, utilizzando le scarne informazioni disponibili in attesa dei dati di dettaglio. Per avere uno sguardo d’insieme sul patrimonio zootecnico censito è utile ricondurre i capi delle singole specie zootecniche ad una unità di misura comparabile che è l’Unità bovina adulta (6) (UBA). Nel 2000 la dimensione media di un allevamento marchigiano è stata di 7,6 UBA mentre nel 2010 ha raggiunto le 56,8 unità. Già da questo semplice indicatore si evidenzia la profonda trasformazione strutturale che è avvenuta in questo ultimo decennio che occorrerà meglio scomporre nelle due componenti della concentrazione produttiva e/o nella fuoriuscita dei piccoli allevamenti. Con i dati a disposizione non è possibile quantificare con adeguata precisione il contributo di queste due concause, ma sono possibili alcune deduzioni.
Figura 6 – Composizione del patrimonio zootecnico in UBA, ripartizione per anno ed area
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat
Uno sguardo innanzitutto al patrimonio zootecnico nel complesso (fig.6) che mostra la spiccata caratterizzazione marchigiana verso gli allevamenti avicunicoli; viceversa minore è la quota dei bovini e degli ovi-caprini. In termini dinamici queste peculiarità appaiono aumentare rispetto alle altre aree prese a riferimento. L’espansione delle produzioni avicunicole non è certo un fenomeno recente nelle Marche, essendo un processo che si è manifestato fin dagli anni ’80; la novità rispetto al passato è la rapidità con cui sta aumentando la consistenza media aziendale passata da 140 a 5230 capi nell’ultimo decennio (da 209 a 8150 capi considerando i soli avicoli). Sono variazioni percentuali a quattro cifre che non riguardano solo le Marche ma anche il Centro e l’Italia nel complesso e sollevano anche qualche perplessità sulla coerenza dei criteri di selettività adottati nelle diverse rilevazioni censuarie. In ogni caso è chiaro che nell’ultimo censimento sono poco presenti i micro allevamenti destinati alle produzioni locali se non all’autoconsumo. Scorrendo infatti i dati relativi al numero di allevamenti distinti per specie, e considerando solo le principali, si nota che le variazioni negative più elevate sono per suini ed avicoli (oltre l’80%), seguono gli ovicaprini (tra il 50 ed il 70%), mentre per i bovini gli scostamenti intercensuari sono i più bassi e si attestano attorno al 30%. Ad una successiva valutazione quindi, la forte diminuzione degli allevamenti sembra attribuibile prevalentemente alla scomparsa dei piccoli allevamenti più che ad un generalizzata crisi della zootecnia regionale che in termini di variazione della consistenza mostra anche qualche segno positivo come nel caso dei suini e degli avicoli. Vi sono comunque situazioni che appaiono critiche e che vanno ulteriormente analizzate come nel caso dei bovini la cui consistenza è diminuita del 17% contro il -6% della media italiana.
Considerazioni conclusive
L’istantanea censuaria scattata a 10 anni dalla precedente mostra in tutta evidenza il ridimensionamento dell’agricoltura italiana in termini di numero delle aziende e di conseguenza anche di quella marchigiana. Si tratta di una tendenza ormai decennale, che riguarda tutti i Paesi sviluppati, e solo in parte è influenzata dagli eventi congiunturali, che possono solo accelerarne o rallentarne la velocità. Gli aspetti che più caratterizzano il contesto marchigiano sono il prevalente orientamento verso la coltivazione di seminativi e la trasformazione strutturale del comparto zootecnico. Riguardo al primo ambito, molto si è detto in passato, dato che si tratta di un fenomeno noto da diversi anni. Il Censimento però fornisce alcune indicazioni che avranno bisogno di un ulteriore approfondimento: ad esempio il processo di estensivizzazione delle superfici sembra rallentare, almeno rispetto alla media nazionale. Forse il fenomeno di semplificazione degli ordinamenti colturali ha ormai raggiunto il suo apice e gli agricoltori marchigiani stanno riprendendo in considerazione sistemi produttivi aziendali più articolati e strutturati. La prevalenza di seminativi è stata funzionale al calo della manodopera in agricoltura, sia perché assorbita, totalmente o parzialmente, da altri settori economici, ma è anche legata all’invecchiamento degli agricoltori e dall’insufficiente ricambio generazionale. Queste dinamiche stanno ora perdendo forza in quanto minore è l’attrazione esercitata dagli altri settori economici per cui chi resta in agricoltura, se l’età e/o le risorse lo consentono, deve investire sul suo futuro imprenditoriale. In un contesto generale in cui si vedono più ombre che luci, dove le risorse pubbliche destinate all’agricoltura non potranno che essere decrescenti ed i prezzi sempre più volatili, l’unico percorso possibile per gli agricoltori è quello di migliorare ulteriormente le proprie capacità professionali, considerando tutta la gamma dei prodotti e dei servizi che una azienda agricola è in grado di fornire. Ciò significa affinare non solo le capacità tecnico-produttive, adottando innovazioni di processo e di prodotto, ma sviluppare competenze nel campo dell’organizzazione e della programmazione dell’offerta (es. filiere) e di analisi e attrazione della domanda, includendo in questa anche il fabbisogno di beni di interesse pubblico. Dall’ultimo Censimento agricolo sembrano emergere alcuni incoraggianti segnali in tal senso come l’aumento delle dimensioni medie aziendali in ettari e capi, che però non devono far dimenticare le migliaia di aziende e di agricoltori che hanno abbandonato l’attività. Questi non sono solo numeri ma storie e tradizioni che si perdono e che impoveriscono il nostro territorio e la nostra cultura.
Note
(1) I dati provvisori sono stati prelevati dal sito Istat il 14/11/2011 (2) L’ultimo Censimento ha adottato il campo di osservazione (universo UE) definito dal regolamento europeo n.1166/2000, “costituito dall'universo delle aziende agricole individuato secondo le direttive previste dal regolamento europeo (art. 3 e Allegato II) e adattate alla realtà nazionale. In particolare, fanno parte del campo di osservazione del 6° Censimento generale dell'agricoltura tutte le aziende con almeno 1 ettaro di Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e le aziende con meno di 1 ettaro di SAU ma al di sopra di determinate soglie fisiche regionali stabilite dall'Istat tenendo conto delle specializzazioni regionali degli ordinamenti produttivi. Rientrano nel campo di osservazione anche le aziende zootecniche, purché allevino animali, in tutto o in parte, per la vendita.” (3) Per il 2010 si è tenuto conto della fuoriuscita dei comuni della Valmarecchia. (4) In uno studio INEA tuttora in corso, si è evidenziato come il processo di rinaturalizzazione abbia interessato tutta la zona appenninica, mentre l’urbanizzazione si è progressivamente spostata negli ultimi decenni dalla costa alle aree interne lungo i principali assi viari. (5) E’ possibile infatti che l’azienda abbia riorganizzato il riparto delle superfici, rinunciando a una o più delle tre tipologie analizzate. (6) Si ottiene moltiplicando i valori dei capi per un coefficiente legato al loro consumo alimentare in rapporto a quello di un bovino adulto.
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Un esempio di approccio territoriale per l’azione agroambientale Silvia Coderoni Istituto Nazionale di Economia Agraria Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Introduzione
La capacità della nuova Politica Agricola Comune (PAC) di incentivare e valorizzare la conservazione delle risorse naturali in agricoltura è diventata ormai un elemento fondamentale di giustificazione del sostegno al settore. Infatti, soprattutto se parliamo di beni pubblici ambientali (1), che hanno una più stretta specificità agricola, la PAC ricopre un ruolo che le politiche ambientali lasciano scoperto, sia per mancanza di strumenti adeguati di regolamentazione, sia perché non sempre tengono conto del livello di jointness (congiunzione) che caratterizza il rapporto tra produzione agricola e ambiente. In particolare le misure agroambientali, nell’ottica di aumentare la sostenibilità ambientale del settore, senza pregiudicarne la redditività, dovrebbero servire ad adeguare progressivamente le pratiche agricole con l’aiuto dell’innovazione tecnologica, al fine di consentirne l’adozione, eventualmente anche in assenza di incentivi. Tuttavia, mentre l’attuale dibattito sulla PAC è fortemente incentrato sulle misure di greening del primo pilastro, è necessario avviare una riflessione anche sulle prospettive future delle misure agro ambientali, tenendo conto anche dei fattori più critici riscontrati durante l’attuale periodo di programmazione. Nonostante l’inevitabile ridimensionamento di queste misure a seguito di una più consistente azione ambientale nell’ambito del primo pilastro, è comunque opportuno ragionare su una certa incoerenza tra la giustificazione teorica del sostegno e le misure volontarie, attualmente messe in atto. In particolare, l’attuale dispersione degli interventi dovrebbe essere superata attraverso un’ulteriore concentrazione (targeting) su particolari aree territoriali o su obiettivi specifici. Infatti, come emerge da alcuni studi, un’implementazione più efficiente delle misure agroambientali attivate ad oggi nel contesto della PAC, potrebbe essere raggiunta adottando un approccio territoriale, per assicurarsi che il focus dell’azione si ampli oltre la singola azienda agricola, in un’ottica integrata per il raggiungimento di soluzioni sostenibili nelle aree rurali (Hart et al., 2011). A questo proposito la progettazione integrata appare uno strumento di particolare interesse, poiché si pone l’obiettivo di aumentare l’efficacia degli interventi, passando dalla singola unità produttiva a progetti di tipo collettivo, allargando lo spettro di azione col l’integrazione di diverse politiche. L’accordo agroambientale d’area della Valdaso rappresenta uno dei più interessanti tentativi, a livello nazionale, di progettazione integrata in campo agroambientale (2). Infatti l’accordo si pone proprio l’obiettivo di integrare le misure agro ambientali con altre misure della politica di sviluppo rurale, un pacchetto di misure che a sua volta si integra ad altre strategie territoriali, in un’ottica più ampia di sviluppo locale.
L’Accordo Agroambientale d’area della Valdaso
L’accordo agroambientale della Valdaso è un accordo agroambientale d’area per la protezione del suolo e delle acque dall’inquinamento da fitofarmaci e nitrati, attraverso il ricorso a metodi di produzione a basso impatto ambientale. L’accordo agroambientale rientra tra le tipologie di progetti territoriali che rappresentano una linea di azione innovativa dei PSR, prevedendo l’aggregazione territoriale al fine di raggiungere una maggiore efficacia dell’azione agroambientale. Esso coinvolge sia istituzioni pubbliche che attori privati locali, attraverso una metodologia plurisettoriale e partecipativa, per raggiungere obiettivi comuni di sviluppo locale sostenibile, come la preservazione della qualità del suolo e delle acque, metodi di produzione più sostenibili e prodotti più sani. L’area interessata dall’accordo è appunto la Valdaso, un vasto territorio che si apre, al centro del Piceno, lungo il corso del fiume Aso, dalle sorgenti nei monti Sibillini, fino alle spiagge dei comuni di Altidona, Pedaso e Campofilone e si divide tra la Provincia di Ascoli Piceno e quella di Fermo. L’area delimitata (Figura 1) contiene il 50,4% di territorio considerato come Zona vulnerabile da Nitrati (ZVN) di origine agricola (così come individuato con Decreto DS n. 10/TAM del 10 settembre 2003).
Figura 1 - Limite del territorio dell'accordo
Fonte: Provincia di Ascoli Piceno
L’obiettivo principale fissato dall’accordo è di raggiungere in sette anni la riduzione degli impieghi di macroelementi (azoto, fosforo e potassio) di almeno il 30% inferiore rispetto ai massimi consentiti dalla normativa per le aree ZVN oggetto di intervento e la riduzione e/o sostituzione dei principi attivi a tossicità acuta e cronica, rispettivamente del 90% e 85%. Le misure attivabili nell’ambito degli accordi agroambientali territoriali sono: la misura 111 relativa alle azioni formative e alcune sottomisure della 214 relativa ai pagamenti agroambientali, ovvero: la sottomisura a) azione 1)-produzione integrata; la sottomisura a) azione 2)-produzione integrata con difesa avanzata ; la sottomisura b)-agricoltura biologica e la sottomisura c) tutela e miglioramento dei suoli azione a)-inerbimento permanente. La misura 111 sottomisura b) azione b) riguarda le azioni informative volte a far conoscere agli agricoltori le tecniche di coltivazione ed allevamento migliorative per l’ambiente e favorevoli alla tutela e valorizzazione del paesaggio rurale, finalizzate alla soluzione di specifici problemi territoriali. Il progetto si articola in azioni informative e divulgative ed in parallelo attiva un percorso di monitoraggio dei dati chimico fisici per attestare il raggiungimento degli obiettivi ambientali prefissati ed informare costantemente gli agricoltori dell’andamento dei monitoraggi e del loro risvolto applicativo. La sottomisura relativa alla produzione integrata, prevede la concessione di un contributo a favore degli agricoltori destinato a ridurre l’impatto negativo dell’attività agricola sull’ambiente causato da tecniche di coltivazione intensive e ad aumentare la sicurezza alimentare (salubrità dei prodotti). La lotta integrata è una tecnica di produzione che consente di ridurre i residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli e ridurre di conseguenza l’impatto ambientale, sul suolo e sulle acque. I principi fondamentali di questa tecnica sono: l’integrazione dei mezzi chimici selettivi con quelli biologici, agronomici e fisici; la limitazione massima all’impiego dei fitofarmaci; la valutazione delle presenze e dei cicli biologici degli insetti tramite campionamenti visivi e l’utilizzo di trappole per il monitoraggio. La produzione integrata con difesa avanzata utilizza inoltre il metodo della confusione sessuale (Figura 2) nella difesa dei fruttiferi (melo, pero, pesco e susino).
Figura 2 - Dispenser per la confusione sessuale
Fonte: Azienda Agricola Vagnoni
La durata temporale del progetto, inizialmente prevista per cinque anni, come la durata degli impegni, è stata prorogata a sette (3). Le aziende coinvolte il primo anno erano 82 per un totale di 257 ha di frutteto con lotta integrata avanzata. Negli anni successivi si sono unite altre aziende, ma in numero molto meno consistente, anche in considerazione che una condizione per l’accesso all’accordo, è che le superfici oggetto dell’aiuto ricadano nell’area delimitata in origine e che almeno 0,5 ha siano frutteti sottoposti alla tecnica di produzione integrata avanzata. Nell’ultimo bando, campagna 2011, comunque, altre 14 aziende hanno fatto domanda a valere sull’accordo Valdaso e sono attualmente in corso le istruttorie. Il soggetto promotore dell’accordo è stato individuato nella Provincia di Ascoli Piceno, che, al tempo della presentazione del progetto esecutivo, era ancora unita a quella di Fermo. Nel 2009, con l’entrata in vigore della Legge 147 del 2004, è cambiata la mappa amministrativa del territorio, attualmente diviso dal fiume Aso in due province. Gli artefici della nascita dell’accordo agroambientale sono proprio alcuni agricoltori, per la maggior parte riuniti nell’associazione “Nuova Agricoltura”, che già usavano queste tecniche a basso impatto e avevano ottenuto risultati positivi. Inizialmente seguiti da un tecnico dell’Assam (Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche), hanno portato avanti qualche anno di sperimentazione nelle loro aziende. In seguito, anche spinti dalle sempre maggiori restrizioni all’uso di prodotti convenzionali da parte della normativa vigente, dall’aumentare dei costi relativi ai trattamenti da somministrare e dalle esigenze di salvaguardare la salute degli operatori stessi, si sono rivolti alla Regione per cercare di valorizzare il loro impegno nell’utilizzo di tecniche a basso impatto ambientale, che oramai avevano preso più piede. L’ipotesi prospettata è stata appunto quella di un accordo agroambientale d’area. La fase successiva alla predisposizione del bando, è stata quella che ha visto il coinvolgimento di nuovi agricoltori, sia da parte dei tecnici, che delle amministrazioni e soprattutto, dei produttori che avevano già sperimentato la tecnica. Poiché le superfici sottoposte all’impegno della lotta integrata con difesa avanzata sono di limitata estensione media aziendale (circa 3 ha), trattandosi delle sole colture a melo, pero, pesco e susino, l’approccio collettivo è apparso essenziale per avere un impatto significativo, anche perché l’efficacia delle tecniche proposte per la difesa, richiede una copertura territoriale senza (o con poche) soluzioni di continuità. È stato attuato un programma di formazione per diffondere tra gli agricoltori coinvolti le tecniche da utilizzare e i benefici economici associati. In seguito, le pratiche sono entrate a far parte del bagaglio di conoscenze degli operatori, pur rimanendo fondamentale la diffusione delle informazioni tramite il bollettino emanato dal centro agrometeo locale dell’Assam. La diffusione dell’innovazione è stata facilitata da un meccanismo informale di scambio delle informazioni tra gli agricoltori e dalla presenza di un ambiente competitivo, ma collaborativo, in cui le relazione imprenditoriali si intrecciano con quelle sociali. La vicinanza delle aziende, per la maggior parte familiari, e la costante presenza del conduttore, fa sì che ci sia continuo scambio di informazioni, rendendo sempre meno necessari interventi “esterni”. Nella fase iniziale il ruolo dei tecnici esperti dell’Assam è stato fondamentale perché, attraverso il rapporto di fiducia, hanno coinvolto e convinto gli agricoltori, in seguito, una delle caratteristiche principali dell’accordo è la reazione a catena che ha portato alla promozione tramite il passaparola con altri agricoltori interessati. Un altro elemento che inizialmente ha aiutato a coinvolgere più agricoltori è stato certamente l’incentivo associato alle misure (214), anche se, ad oggi, molti si dicono intenzionati a continuare anche in sua assenza, avendo riscontrato benefici sia in termini di produttività, che di riduzione dei costi. Il Centro Agrochimico Regionale di Jesi (AN) si è reso disponibile ad essere coinvolto nelle diverse analisi relative ai campioni rappresentativi di acque e suoli, nonché nel monitoraggio i prodotti ortofrutticoli per verificare l’eventuale migliore stato di salubrità, mentre il Centro Agrometeo locale si è attivato per informare gli agricoltori delle aziende seguite dai sui tecnici e, con il suo bollettino settimanale, fornisce all’impresa agricola le indicazioni necessarie alla corretta gestione agronomica delle colture e per la difesa fitosanitaria secondo metodologie a basso impatto ambientale (lotta integrata e biologica). Il ruolo iniziale della provincia di Ascoli Piceno è stato importante per provvedere al coordinamento amministrativo generale, presentare il progetto di massima e coordinare la presentazione dei progetti definitivi da parte dei singoli beneficiari. Il supporto offerto dall’amministrazione regionale, per la realizzazione del progetto attraverso il PSR è stato cruciale. Inoltre, l’accordo agroambientale Valdaso, essendo stato il primo della programmazione 2007-2013, ha rappresentato un’occasione per la Regione per testare le strutture amministrative e facilitare l’implementazione di nuovi accordi negli anni seguenti. L’approccio dell’accordo agroambientale d’area è stato poi replicato in altre aree delle Marche, con gli accordi per la tutela della biodiversità, avvalendosi dell’esperienza maturata e della risposta positiva degli agricoltori. La Tabella 1 sintetizza i principali attori dell’accordo, a diversi livelli, da quello micro al macro e i rispettivi ruoli ricoperti.
Tabella 1 - Schema esemplificativo, relativo al caso di studio AAV
Risultati attesi e prime valutazioni
Non essendo ancora conclusi né il periodo di durata dell’accordo, né lo studio dello stesso, è prematuro parlare dei risultati raggiunti e proporre indicazioni di policy. I benefici attesi sono soprattutto quelli legati al ricorso alla lotta integrata, ovvero: la riduzione dell’impiego dei fitofarmaci nella coltivazione e quindi la maggiore tutela delle acque e del suolo, nonché i minori dei rischi per la salute dell’operatore; la riduzione dei fenomeni di resistenza nelle popolazioni dei parassiti e dei cali di efficacia degli antagonisti; il risparmio sui costi di produzione e il miglioramento qualitativo del prodotto. Purtroppo l’attività di monitoraggio a causa dell’assenza di fondi specifici, ad oggi può offrire risultati solo sui residui sulla frutta. Il Centro Agrochimico di Jesi ha analizzato i campioni di 37 aziende, di cui 24 in confusione e 13 fuori confusione, evidenziando che in entrambi i casi i residui trovati nei campioni sono al di sotto del limite massimo consentito dalla legge, ma le aziende fuori confusione presentano una percentuale maggiore di campioni con tracce di residui (78%) rispetto ai campioni prelevati nelle aziende in confusione (57%). Inoltre, le aziende fuori confusione, hanno una percentuale maggiore di campioni che presentano più residui contemporaneamente (21% rispetto al 7% delle aziende fuori confusione). Manca, ad oggi, una valorizzazione del prodotto finale attraverso la differenziazione con un’iniziativa di marketing, che segnali al consumatore queste differenze nei prodotti. Alcuni agricoltori si stanno muovendo in questa direzione, lavorando, insieme alle istituzioni, per creare una filiera locale, produrre in maniera standard e commercializzare insieme i prodotti. Il bando per le filiere si chiuderà a breve e per il futuro, la Regione, sta pensando di mettere insieme le due tipologie di accordo: una di tipo ambientale e una per la competitività sul territorio, in un’ottica di progettazione integrata per lo sviluppo territoriale sostenibile. L’accordo agro-ambientale della Valdaso dimostra come il ruolo della programmazione e della progettazione sia fondamentale per offrire gli strumenti adatti, e come l’efficacia delle misure agroambientali sia maggiore quando queste vengono dal basso, ovvero nascono dagli attori locali e sono motivate da una forte convinzione del reale legame tra le pratiche agricole e l’ambiente. Evidentemente non un ruolo cruciale lo hanno gli attori deputati a facilitare il processo di apprendimento degli agricoltori all’interno dell’azione collettiva, quindi tecnici, ma anche istituzioni e amministrazioni locali, soprattutto quando non tutti gli agricoltori coinvolti hanno percezione del risvolto collettivo del loro agire. Nel caso analizzato, il fatto che la tecnica stessa produca maggiori risultati se applicata senza soluzione di continuità, fornisce di per sé una motivazione alla ricerca di un’azione collettiva, ma è evidente che anche le iniziative volte alla divulgazione dei risultati rivestono un ruolo rilevante per l’effettiva efficacia delle azioni intraprese. Anche il ruolo del monitoraggio appare essenziale e occorrerebbe che le politiche future, in un’ottica di progettazione integrata, prevedessero anche un finanziamento di tali azioni, poiché esse rappresentano l’effettivo collegamento delle pratiche e i risultati ottenuti, fornendo agli operatori l’evidenza scientifica degli effetti delle loro azioni. L’accordo agro-ambientale della Valdaso conferma, infine, come il successo dell’agricoltura nella salvaguardia ambientale, vada ben oltre la competitività delle singole aziende, ma sia piuttosto legato alla competitività di sistemi agro-alimentari territoriali e alle strategie regionali, pubbliche e private, volte a rafforzare e salvaguardare la produzione agricola locale (Van Huylenbroeck, 2003).
Note
(1) La definizione di bene pubblico e la teoria della fornitura di tali beni esulano dagli obiettivi del contributo proposto. In questo caso intendiamo per beni pubblici ambientali, quell’insieme di risorse naturali che sono input e/o output congiunti della produzione agricola, come il paesaggio agricolo, la biodiversità, la qualità e disponibilità delle risorse idriche, la stabilità climatica, la tutela del suolo ecc. (Cooper et al., 2009). (2) L’analisi dell’accordo agroambientale d’area della Valdaso è condotta nell’ambito del progetto di ricerca “Agricoltura e beni pubblici. Ri-orientamento delle politiche e governance territoriale” dell’INEA. (3) Per le aziende che hanno aderito dal primo anno.
Riferimenti bibliografici
Cooper T., Hart K., Baldock D. (2009) The Provision of Public Goods Through Agriculture in the European Union, Report Prepared for DG Agriculture and Rural Development, Contract No 30-CE-0233091/00-28, Institute for European Environmental Policy, London. Hart K., Baldock D., Weingarten P., Povellato A., Pirzio-Biroli C., Osterburg B., Vanni F., Boyes A. (2011) What tools for the European agriculture to encourage the provision of public goods, Study for the European Parliament’s Committee on Agriculture and Rural Development. Meinzen-Dick R. e Di Gregorio M. (2004), Collective Action and Property Rights for Sustainable Development, 2020 Vision for Food, Agriculture and the Environment, Focus 11, IFPRI (International Food Policy Research Institute), Washington, D.C. Provincia Ascoli Piceno, Accordo agroambientale d’area per la tutela delle acque e dei suoli da fitofarmaci e nitrati area Valdaso - Progetto esecutivo, 2009. Schneider f., Fry P., Ledermann T., Rist S. (2009), Social Learning Processes in Swiss Soil Protection—The ‘From Farmer To Farmer’ Project, Hum Ecol, 37:475–489 DOI 10.1007/s10745-009-9262-1. Van Huylenbroeck G., Durand, G. (Eds.) (2003), Multifunctional Agriculture: A New Paradigm for European Agriculture and Rural Development, Aldershot; Burlington, VT, Ashgate.
Ringraziamenti
Un doveroso ringraziamento va a: Lorenzo Bisogni, Sabrina Speciale, Silvia Fiorani (Regione Marche); Egea Latini (Provincia di Ascoli Piceno) e Fabio Sansonetti (Provincia di Fermo); Pio Gemignani e Gianfranco Vagnoni (agricoltori); Maddalena Canella (Centro agrochimico Assam-Jesi); Avelio Marini (assessore all'agricoltura della provincia di Ascoli Piceno, ai tempi della nascita dell’accordo).
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Francesco Adornato1, Francesco Ansaloni2, Gianluca Gregori3, Rodolfo Santilocchi3 1 Università degli Studi di Macerata, 2 Università di Camerino, 3 Università Politecnica delle Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Alcuni studiosi presso Università delle Marche rispondono a tre quesiti sottoposti da Agrimarcheuropa.
1) Quali parole chiave identificano le priorità di politica agraria e di sviluppo rurale nelle Marche con riferimento al 2020?
Francesco Adornato, Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Macerata
Le parole chiave sono:
1) Agricoltura plurale, ovvero interventi differenziati per situazioni differenziate: agricoltura sociale, come evidente nuovo paradigma e agricoltura urbana come espressione ancora più avanzata.
2) Pluralità dei soggetti, ovvero accompagnare la centralità dell’impresa con le altre figure non imprenditoriali ma fondamentali per l’economia, il territorio, la coesione, i mercati di prossimità.
3) Mercati plurali, in coerenza con i fenomeni appena indicati.
4) Integrazione e sistema tra agricoltura ed altre “figurazioni” territoriali: turismo, cultura enogastronomica, paesaggio, ecc.
Francesco Ansaloni, Scuola di Scienze Ambientali di Camerino
Le parole chiave sono:
1) Favorire la riconoscibilità della qualità da parte dei consumatori. Ciò si traduce, per esempio, nella produzione di prodotti trasformati e servizi locali, prodotti IGP e DOP e agricoltura biologica. Oggi il mercato è sempre più globalizzato e, in larga parte dei casi, la concorrenza dei mercati esteri si basa sul prezzo. Pertanto, per aumentare il reddito dei produttori è indispensabile orientare l’agricoltura verso mercati che si differenziano per l’offerta di prodotti e servizi di qualità che possono consentire maggiori livelli di prezzo.
2) Unità dei produttori agricoli. Per raggiungere importanti obiettivi comuni, è indispensabile che i produttori agricoli lavorino insieme. In tal senso, è utile stimolare le forme di associazionismo, tra le quali, per esempio, la trasformazione associata di materie prime agricole in prodotti alimentari. Altre strade da favorire sono quelle della creazione di accordi di filiera e della vendita diretta dei prodotti e dei servizi senza spese commerciali (filiera corta, partecipazione presso farmer market settimanali, fiere locali).
3) Facilitare i produttori nelle scelte aziendali. In passato, in larga parte dei casi, le scelte di gestione dell’impresa sono state orientate verso la massimizzazione tecnica delle rese produttive. Oggi, invece, la PAC lascia libero il produttore di decidere le attività produttive che considera più vantaggiose e, pertanto, occorre avviare un processo di ri-formazione professionale per i produttori agricoli che aumenti le loro capacità di calcolo e di analisi dei costi aziendali e dell’andamento di mercato.
4) Uso delle risorse naturali da parte delle attività produttive. I recenti disastri ambientali che hanno colpito il nostro Paese e i cambiamenti di politica agraria rendono improrogabile ripensare al modello di sviluppo dell’agricoltura. Questi disastri si innestano su situazioni di degrado dei suoli, abbandono del territorio, occupazione dello spazio ambientale da parte di costruzioni, cementificazione degli alvei dei fiumi, esodo dalle montagne, ecc. Pertanto, la scelta dell’uso delle risorse naturali deve essere ambientalmente sostenibile e integrata con le politiche dei diversi settori produttivi.
Gianluca Gregori, Preside della Facoltà di Economia "G. Fuà" di Ancona
Le parole chiave sono:
1) Rilancio. Rilancio della politica agraria come motore di sviluppo dell’economia dei territori. Infatti, gli effetti negativi derivanti dal processo di deindustrializzazione che sta caratterizzando la Regione Marche, potrebbero essere, almeno in parte, limitati dallo sviluppo rurale. Si pensi, ad esempio, alla stretta integrazione tra questo ed il turismo, l’enograstronomia ed in generale il sistema agro-alimentare, la distribuzione, il recupero del patrimonio immobiliare, la capacità di attrattiva di stranieri.
2) Innovazione. L’innovazione va considerata a due livelli, macro e micro. Per quanto concerne la prospettiva macro, acquisisce sempre maggiore rilevanza da parte dell’Operatore Pubblico la necessità di formulare una strategia complessiva, che integri la politica agraria e lo sviluppo rurale con le altre componenti del sistema economico di cui si è detto sopra. Ciò richiede modelli organizzativi “nuovi”, rispetto a quelli “settoriali” finora utilizzati ed anche un nuovo approccio strategico. A livello micro, è necessario che anche le aziende agricole adottino nuovi modelli gestionali; spesso la conduzione di queste imprese presenta numerose lacune (ad esempio, nel controllo di gestione, nella pianificazione finanziaria, nella fissazione del prezzo dei prodotti, nelle scelte distributive, nell’analisi degli investimenti). Ne deriva un reddito piuttosto limitato, compensato soprattutto da un’elevata passione. Ma quest’ultimo fattore competitivo (la passione) rischia di affievolirsi con le nuove generazione, con il rischio, peraltro spesso riscontrato, dell’abbandono dell’impresa.
3) Marketing. L’ottima produzione non è sufficiente per assicurare il successo ed un’adeguata redditività all’impresa agricola ed in genere ai territori. Si riscontra un forte ritardo nell’adozione di strumenti di commercializzazione; anzi, in alcuni casi il marketing è considerato in maniera negativa, quasi come “uno strumento mistificatorio”. Al contrario, il vero problema si verifica quando si realizzano prodotti di elevata qualità oggettiva che non vengono percepiti come tali dai consumatori.
Rodolfo Santilocchi, Preside della Facoltà di Agraria di Ancona
Le parole chiave sono:
1) Sburocratizzazione. È indispensabile arrivare ad una sburocratizzazione dell’agricoltura, perché non è accettabile che gli imprenditori debbano dedicare così tanto tempo per seguire procedure burocratiche complesse e spesso incomprensibili per ogni richiesta di finanziamento. Ciò è importante in ogni caso, ma lo è ancora di più nell’ambito delle procedure che interessano più o meno direttamente l’UE, anche perché molto spesso sono le regioni a complicare inutilmente le cose. Ad esempio, le esperienze nei PSR precedenti hanno dimostrato che per ottenere ciò sarebbe molto importante dare più “responsabilità” ai professionisti incaricati di redigere i documenti che ci mettono la propria firma.
2) Informazione. Lo sviluppo rurale delle Marche è ancora oggi fortemente limitato dalla carenza di informazione ad ogni livello, che rende difficile la valutazione delle priorità di scelta da parte degli operatori agricoli.
3) Organizzazione. A causa della dimensione media estremamente ridotta delle imprese agricole, sarebbe opportuno “costringere”, ancor più di quanto si stia facendo oggi, gli imprenditori a percorrere strade in comune.
4) Ricerca. Negli ultimi tempi gli investimenti in ricerca e sperimentazione della Regione Marche per il settore agricolo sono stati estremamente ridotti, inferiori a quasi tutte le regioni del centro-nord. Ciò è stato certamente provocato dalla drastica riduzione dei trasferimenti statali, ma anche da scelte politiche che hanno relegato il settore agricolo molto in basso nella scala di priorità regionale. È indispensabile ripartire a svolgere attività in questo ambito, soprattutto perché non è possibile pensare che sia sufficiente far riferimento a ricerche svolte in altri ambiti, in quanto ogni territorio ha le sue specificità e solo una ricerca applicata a livello locale potrà mettere a disposizione i giusti strumenti per dare la possibilità di cogliere le migliori occasioni e quindi garantire un futuro accettabile all’attività agricola marchigiana.
2) Quale ruolo può svolgere la sua organizzazione nel percorso di sviluppo sopra delineato?
Francesco Adornato, Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Macerata
Il tema culturale che l’Università di Macerata sta affrontando è quello del contributo della scienze sociali allo sviluppo economico, ovvero “l’umanesimo che innova”. In questo senso una riflessione, in particolare, sui contenuti espressivi dell’agricoltura sociale può rilevarsi un contributo significativo ed importante.
Francesco Ansaloni, Scuola di Scienze Ambientali di Camerino
La Scuola di Scienze Ambientali e Naturali dell’Università degli Studi di Camerino (ex-Facoltà di Scienze Naturali) è impegnata nella didattica dei Corsi di Laurea in Scienze Geologiche, dell’Ambiente e del Territorio. Il principale punto di forza della Scuola consiste nelle molteplici competenze scientifiche e professionali dei suoi componenti che permettono di affrontare - secondo una logica globale - i problemi di sviluppo del territorio e delle produzioni agricole ed agroindustriali. Le principali aree di ricerca sono: botanica ed ecologia, chimica ambientale, geologia, produzioni animali, protozoologia e biologia animale e socio-economia applicata. Da tempo la Scuola realizza progetti di ricerca finalizzati allo sviluppo di attività agricole e zootecniche finanziati dalla Regione Marche ed è interessata a collaborare a progetti di ricerca e iniziative per favorire lo sviluppo del settore agricolo e dell’ambiente, in particolare per le zone appenniniche e marginali.
Gianluca Gregori, Preside della Facoltà di Economia di Ancona
La facoltà di Economia "G. Fuà" dell’Università Politecnica delle Marche, proprio per la sua caratteristica di “Organizzazione Multidisciplinare”, potrebbe intervenire sui seguenti aspetti:
A) Realizzazione di studi ed indagini, volti ad evidenziare le esigenze delle amministrazioni e delle aziende per una maggiore competitività (anche mediante benchmarking internazionali). B) Sviluppo di modelli di analisi, ma anche organizzativo-gestionali rivolti alle imprese. C) Progettazione e realizzazione di attività formativa. D) Svolgimento di attività consulenziale, in affiancamento all’Operatore Pubblico ed alle singole aziende.
Una modalità interessante di interazione potrebbe risultare quella di finanziare uno/più borse di dottorato di ricerca su tali tematiche o anche assegni di ricerca. Nella facoltà si potrebbe organizzare un team di esperti, che integri le competenze più tipicamente di economia agraria, con quelle gestionali ed economico-aziendali. Inoltre, potrebbero essere svolti (in realtà, ciò avviene almeno in parte) incontri con le associazioni di categoria e soprattutto con gli operatori, facendo comprendere il senso di un’organizzazione realmente aperta al territorio, dove ci si può confrontare su specifiche tematiche, coinvolgendo anche il mondo politico. Ancora, sempre sul tema dell’occupazione e della meritocrazia, potrebbe essere istituito un riconoscimento per quelle aziende/amministrazioni che hanno attuato strategie innovative, anche assumendo giovani laureati della nostra facoltà. Infine, potrebbero essere organizzate missioni per gli operatori, sia in Italia che all’estero, alla scoperta della “ruralità internazionale” e delle sue potenzialità; ciò al fine di rilevare gli ampi margini di miglioramento possibili.
Rodolfo Santilocchi, Preside della Facoltà di Agraria di Ancona
Una struttura universitaria come la Facoltà di Agraria ha come compiti istituzionali la formazione e la ricerca in ambito agricolo-alimentare-ambientale. Per quanto riguarda la formazione, sarà certamente necessario aggiornare la didattica universitaria a quelli che sono i continui mutamenti del panorama internazionale, cercando anche di inserire gli strumenti più idonei per permettere ai laureati di interpretare l’evoluzione in atto e proporre soluzioni innovative. Sarà però molto importante inserirsi anche nella indispensabile attività di formazione continua con percorsi diversi da quelli tipicamente universitari, destinata soprattutto a tecnici e operatori già in attività, laureati e con livelli di istruzione inferiori, sempre più necessaria per poter essere sempre al passo con i tempi. In questo caso la formazione dovrà essere effettuata in collaborazione con strutture esterne diventate leader nei diversi settori. Anche nella ricerca il ruolo che può svolgere la struttura che rappresento può essere molto importante per le specifiche competenze dei ricercatori che ne fanno parte, anche in considerazione del fatto che in ambito regionale non sono presenti molti altri centri specializzati nella ricerca agricola. Prova di quanto affermato è il frequente affidamento di programmi di ricerca ad altre strutture, universitarie e non, che non dispongono di personale specializzato per il settore agricolo. Fermo restando il fatto che per ricerche complesse di livello nazionale e internazionale sarà necessario reperire fondi in altre sedi, si ribadisce che sarà possibile dare un adeguato contributo solo se saranno disponibili risorse locali, magari cercando di arrivare ad un coordinamento fra tutti gli enti finanziatori, evitando la dispersione del passato che non consente un uso razionale delle risorse. Da segnalare, inoltre, la necessità che si arrivi ad un riconoscimento dell’importanza delle ricerche locali anche ai fini dalla carriera dei ricercatori, perché se rimane la situazione attuale sarà difficile incoraggiare i giovani a svolgere attività in questo ambito.
3) Quali iniziative/servizi, attraverso l’uso di internet e di tecnologie informatiche, potrebbero risultare efficaci per collegare meglio gli operatori agricoli alle istituzioni e alla ricerca?
Francesco Adornato, Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Macerata
Portali, blog, news, skype, ma questa Rivista è l’evidente dimostrazione di nuovi ed efficaci strumenti che possono connettere imprenditori agricoli, istituzioni e ricerca.
Francesco Ansaloni, Scuola di Scienze Ambientali di Camerino
Oggi, la maggior parte degli agricoltori mostra ancora poca dimestichezza con internet. Pertanto, nell’ipotesi di un uso importante di questo strumento, non è da trascurare l’idea di attivare anche dei corsi di alfabetizzazione informatica. Il prodotti che si potrebbero realizzare sono due. Il primo è quello di una semplice e sintetica Newsletter settimanale regionale. In essa potrebbero trovare spazio la cronaca agricola, i bandi e finanziamenti agevolati, le tendenze di mercato, le fiere ed eventi del settore e le normative del settore. Il secondo prodotto potrebbe essere un Portale web specifico per i produttori agricoli. I contenuti di questo portale sono quelli già citati nella Newsletter ma arricchiti di approfondimenti. Inoltre, in particolare, per i bandi e finanziamenti agevolati potrebbe essere interessante la creazione di un sistema esperto per facilitare la ricerca, per comparto produttivo e/o per caratteristiche dell’imprenditore, degli aiuti PAC disponibili e dei referenti istituzionali. Poi, per l’analisi del mercato, potrebbe essere utile concentrare l’attenzione sulle principali filiere regionali: cereali, vino e carni (bovina, ovina). Infine, nel portale potrebbero essere presenti due sezioni specifiche: - la prima dedicata all’analisi dei redditi delle aziende, corredata da schede aziendali di auto-analisi, mini lezioni di economia aziendale, filmati e con la possibilità di scaricare dei testi scritti e modelli di calcolo basati su fogli elettronici; - la seconda sezione, invece, potrebbe consistere in una vetrina dei prodotti agricoli alimentari e dei servizi offerti dalle aziende agricole e destinata alla consultazione da parte dei consumatori.
Gianluca Gregori, Preside della Facoltà di Economia di Ancona
Quattro sono le possibili iniziative.
1) Informazioni: sulle trasformazioni in atto, anche su articoli e stampa specializzata, in affiancamento a quanto già realizzato dalle associazioni di categoria. Ad esempio, nel rispetto della normativa SIAE, potrebbero essere inviati abstract o copie di articoli. Ciò al fine di accrescere “curiosità”, ma anche “competenze”, aggiornando gli operatori ed i funzionari della pubblica amministrazione. 2) Formazione: sulle tematiche già rilevate, con specifico riferimento al management. 3) Consulenza: potrebbero essere trasferiti semplici schemi gestionali, rispondendo anche on-line a specifiche richieste di utilizzo/intervento. Si pensi, ad esempio, all’utilizzo di un modello di pianificazione finanziaria o a come valutare la redditiivtà di un investimento. 4) Forum: favorire la discussione e l’interazione tra i diversi operatori su tematiche definite e/o aperte.
Rodolfo Santilocchi, Preside della Facoltà di Agraria di Ancona
Come già accennato relativamente ai maggiori problemi dell’agricoltura marchigiana, è necessario segnalare la carenza di diffusione rapida delle informazioni. Non c’è dubbio che internet potrebbe essere un valido metodo per ovviare a questo inconveniente. Per ottenere ciò è però indispensabile creare una vera e propria rete in grado di collegare in modo efficace i diversi operatori interessati, anche in grado di funzionare a doppio senso, perché in questo momento le varie iniziative nel settore, pur lodevoli, sono scollegate fra di loro e quindi perdono di efficacia. Lo stimolo principale per collegare gli operatori agricoli (almeno quelli più professionali), dovrebbe derivare dalla dimostrazione che c’è una utilità reale, soprattutto per gli aspetti informativi e burocratici. È ovvio che per arrivare a questo risultato sarà indispensabile che gli operatori capaci di implementare il sistema rinuncino al loro individualismo e si mettano a “ragionare” insieme. Anche nell’ambito della formazione continua le tecnologie informatiche possono rappresentare un importante ausilio per facilitare il funzionamento delle attività, senza pretendere che, salvo casi particolari, possano diventare completamente esaustive, in quanto in questo ambito sarà sempre importante mantenere il confronto diretto fra gli operatori.
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Cristina Martellini Regione Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Perché un progetto “Rurale Sociale” nell’ambito delle politiche del settore agricolo
Il mondo contadino ha mantenuto, nella propria organizzazione, “valori primari”, quali la famiglia, la solidarietà nel lavoro, l’inclusione della fragilità, il rispetto dell’ambiente e dei cicli naturali, la trasmissione dell’ esperienza, la proiezione verso il futuro che rappresentano, beni capaci di migliorare la qualità della vita di alcune fasce della popolazione. Per un lungo periodo l’imposizione del modello di vita urbano ha svuotato di contenuti e di memoria la funzione sociale del rurale, la sua capacità di assistenza ed inclusione sociale dall’interno, la sua capacità di curare, “durante” la produzione, l’aspetto sociale, la relazione, l’incontro. L’agricoltura sociale riscopre la capacità forte del mondo agricolo di esprimere legami di comunità andati perduti nel mondo urbano, intravedendo la possibilità per l’impresa agricola di erogare servizi relazionali e sociali a bambini, anziani, minori a rischio, persone con disabilità cognitive, psicologiche o fisiche. Il Progetto “Rurale Sociale” dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Marche intende porre al centro di una sperimentazione di welfare rurale l’impresa agricola, facendo leva sui contesti in cui essa opera e sui valori sociali che essa già possiede. Occorre valorizzare queste capacità della impresa agricola non soltanto come nuova vocazione , ma come più ampio processo di rivalutazione culturale e di recupero della funzione sociale che il mondo contadino possiede dall’antichità. Il progetto è coerente con la nuova legge regionale sulla diversificazione e multifunzionalità approvata in Consiglio regionale l’8 novembre 2011, che contiene un apposito capo dedicato all’agricoltura sociale.
Il modello Agrinido di qualità
Nell’ambito del progetto “Rurale Sociale” si inserisce il progetto Agrinido fondato su un modello di “Agrinido di qualità”. Esperienze di agrinido iniziano ad avviarsi in varie regioni, ma l’originalità del progetto della Regione Marche sta nella volontà di garantire un livello di qualità del servizio rurale per l’infanzia, oltre ad un approccio pragmatico, volto alla soluzione dei problemi operativi che l’impresa agricola potrebbe incontrare nella nuova attività sociale che deve intraprendere. La Regione ha individuato il Comune di Chiaravalle e la Fondazione Chiaravalle-Montessori come partners dotati di una esperienza eccellente per la creazione del modello di servizi rurali di qualità per l’infanzia ed ha sottoscritto con loro un Accordo di Collaborazione ai sensi della DGR 1107 del 12 luglio 2010. Come previsto nell’Accordo, è stato costituito un Comitato tecnico scientifico (1) con funzioni di indirizzo dell’attività di creazione di un modello di Agrinido, la cui composizione ha rispecchiato la volontà di integrazione di competenze e conoscenze che l’intervento richiedeva. Sin dai primi incontri è emerso che la legislazione delle Marche in materia di asili nido rappresenta nel panorama nazionale una buona esperienza e che pertanto l’Agrinido, pur esperienza innovativa, avrebbe rispettato le caratteristiche e i parametri tecnici dettati dalla L.R.9/2003 e relativo regolamento. Ciò consentirà in futuro agli imprenditori agricoli che si misureranno con l’esperienza di erogazione di servizi educativi di ottenere quell’accreditamento o riconoscimento utile per considerare l’agrinido alla pari dei servizi educativi urbani. Al termine di un proficuo lavoro di integrazione di molteplici competenze la Regione Marche ha approvato con DGR722/2011, il modello di “Agrinido di qualità”, caratterizzato da un progetto pedagogico innovativo, dalla individuazione della “azienda agricola idonea”, da uno specifico format architettonico e da un modello di sostenibilità. Creato il modello di "Agrinido di qualità", diviene importante dare il tempestivo avvio alla sperimentazione. A giugno del 2011 il Servizio Agricoltura ha emanato il bando, a risorse regionali, per l’avvio di azioni pilota nell’anno scolastico 2011/2012. La localizzazione degli AgriNido di qualità, dovrà, sulla scorta di un’analisi dei dati in possesso del servizio Servizi Sociali regionale,intercettare la domanda di servizi per l’infanzia in due ipotetiche tipologie di aree:
- aree montane e svantaggiate dove esiste la reale necessità di servizi educativi;
- aree periurbane, dove le liste di attesa dei nidi già esistenti, potranno indurre i genitori sensibili alla cultura del “rurale” ad invertire il moto campagna–città, nella ricerca per le nuove generazioni di quei valori “primari” che l’agricoltura di servizio può offrire.
Il bando prevede finanziamenti a parziale copertura di costi per investimenti e costi di gestione, per due anni, per un importo complessivo di € 50.000 ad azienda. Tra gli investimenti saranno ammesse le spese per l’adeguamento degli spazi esterni,impianti,arredi ed attrezzature strettamente collegate all’attività di nido. Per adeguamenti specifici al format architettonico della delibera n. 722, nell’intento di comunicare la volontà pedagogica di”tirare dentro la natura” è previsto un contributo aggiuntivo fino a €10.000 per dissolvenze dei confini interno-esterno e “giardini d’inverno”.
Il progetto pedagogico dell'agrinido
Dal punto di vista pedagogico, Francesca Ciabotti e Piero Crispiani, esperti di psicopedagogia, hanno chiaramente indicato come sostenere il “fare del bambino” nel variegato mondo dell’agrinido. “L’attenzione progettuale volge ad uno scenario che ricomprende la definizione degli obiettivi del più generale processo educativo, ma spinge la riflessione e le migliori pratiche verso il dialogo più ampio con la natura, ai processi di osservazione , di indagine e conoscenza che i bambini autonomamente metteranno in campo di fronte al variegato cosmo animale, minerale, vegetale e lavorativo dell’Agrinido […]. Un nido in fattoria ha un suo 'valore aggiunto' sul piano delle offerte educative, inscrivibile tra gli orientamenti di una “Pedagogia ecologica” […]. L’Agrinido garantisce che il contatto con la natura sia reale, quotidiano, corporeo e spontaneo. Inoltre il 'nido all’aria aperta' sfrutta suggestioni di una pedagogia 'coraggiosa' che chiede di uscire più spesso, in tutte le stagioni indipendentemente dalle condizioni atmosferiche: gioco e attività all’aperto vanno inserite come abitudini quotidiane, stimolando così attività motoria libera fini dai primi anni di vita. Il gioco libero all’aperto in compagnia della educatrice permette ai bimbi di vivere percorsi di autonomia all’interno di situazioni significative ed interessanti, aiutando a maturare la fiducia in se stessi ed imparando a riconoscere e controllare i piccoli e grandi pericoli che la natura comporta […]. L’ambiente rurale e naturale rappresentano così un laboratorio didattico diffuso, dove il 'fuori' del nido rende possibili perlustrazioni sensoriali di tatto, udito, olfatto, vista e gusto, osservazioni quotidiane e la nascita di interrogativi di armonia e casualità della natura […]. Le uscite esplorative torneranno poi 'dentro' il nido per la strutturazione delle sperimentazioni cognitive, sensoriali, corporee, emotive e sociali […]. Anche la relazione con gli animali della fattoria ha un forte valore pedagogico che permette di costruire un rapporto bambino-animale più corretto, equilibrato e consapevole per comportamenti di rispetto e scambio con l’alterità del modo animale […]. L’Agrinido può anche sviluppare al suo interno un progetto nutrizionale tipico, che utilizzi menù di prodotti che provengano dall’ azienda e che inviti i bambini ad osservare e conoscere ciò che mangiano, entrando in contatto con gli odori, i sapori, i colori ed il linguaggio del cibo […].”
Servizi di base alla popolazione e PSR 2014-2020
Il Progetto di sperimentazione Agrinido con micro sezioni da sette bambini e durata temporale di due anni, coincidente con il completamento di un ciclo scolastico dei piccoli fruitori dei servizi (da 1 a 3 anni), consentirà di realizzare una indispensabile verifica sulla fattibilità e sostenibilità del Modello Agrinidale di Qualità della Regione Marche nelle aree montane e svantaggiate ed in quelle periurbane. Ciò permetterà, nella riprogrammazione del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, di avere analisi basate sulle esperienze concrete per orientare le scelte dei servizi alle popolazioni rurali e gli interventi per il mantenimento dell’occupazione e della qualità della vita. Nella riprogrammazione del PSR, la Regione Marche si impegnerà per una valorizzazione del ruolo dell’impresa agricola come azienda fornitrice di servizi sociali e di welfare locale in favore non solo dell’infanzia. La specificità dell’ambiente rurale può tornare utile per gli anziani, nel trattamento della disabilità ed in numerose altre situazioni di disagio quali dipendenze, disadattamento, burn out, reinserimento sociale di soggetti deboli. Poiché non potranno raggiungersi gli obiettivi del mantenimento delle popolazione in zone rurali, dell’occupazione e del miglioramento della qualità della vita senza adeguati interventi di welfare locale e poiché i finanziamenti pubblici, a sostegno dei servizi sociali, subiscono negli anni contrazioni sempre più preoccupanti, crediamo che il ricorso alla imprenditorialità rurale possa essere uno dei percorsi certamente da sostenere nel nuovo documento di programmazione. Occorrerà studiare l’obiettivo del rurale sociale non soltanto come nuova vocazione dell’impresa agricola e nuova fonte di reddito, ma come più ampio processo di rivalutazione culturale e di recupero della funzione sociale del mondo agricolo per il riposizionamento del concetto da terra-merce a terra-valore e la conseguente ricostruzione di un welfare locale. Si tratta di una “retro-innovazione”, come sostiene il prof. Francesco Di Iacovo, uno dei massimi esperti di agricoltura sociale in Italia: “senza servizi una struttura sociale muore e, di conseguenza, muore anche la struttura economica. Dunque la economia agricola per sopravvivere deve risolvere la questione dei servizi. Diventando essa stessa fornitrice di assistenza sociale, l’agricoltura pone le basi per la propria sopravvivenza”. Con un obiettivo così lungimirante, sperimentare modelli per una “Pedagogia ecologica” e una “Pedagogia del lavoro” nell’ambito di aziende marchigiane multifunzionali appare una premessa di grande valore per il modello marchigiano 2020.
Note
(1) Hanno fatto parte del Comitato il dirigente del Servizio Agricoltura, due rappresentanti delle Organizzazioni professionali agricole, il dirigente del Servizio Servizi Sociali della Regione Marche, il Direttore della Fondazione Montessori, oltre ad esperti di psicopedagogia, pedagogia e problematiche di fragilità sociali e della comunicazione quali Francesca Ciabotti, Piero Crispiani, Stefano Ricci , Saverio Senni, Donatella Consolandi e Monica Giuliato.
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Giovanni Bernardini1, Giancarlo Ceccaroni Cambi Voglia2, Nevio Lavagnoli3, Giannalberto Luzi4 1 Copagri, 2 Confagricoltura, 3 CIA, 4 Coldiretti Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
I Presidenti delle organizzazioni agricoli marchigiane rispondono a tre quesiti sottoposti da Agrimarcheuropa.
1) Quali parole chiave identificano le priorità di politica agraria e di sviluppo rurale nelle marche con riferimento al 2020?
Giovanni Bernardini, Presidente di Copagri
Le parole chiave sono:
1) Innovazione. Intesa come miglioramento delle condizioni di lavoro degli addetti e opportunità per i giovani agricoltori. Formazione, aggiornamento e comunicazione sono le parole chiave da legare all’innovazione per sviluppare il settore che deve necessariamente rinnovarsi al passo dei mercati. Innovare alla ricerca della competitività anche riconoscendo all'agricoltore nuovi ruoli, nuove attività nuove possibilità sul mercato in continuo cambiamento.
2) Territorio – greening. Sostegno all’agricoltura in quanto custode di beni pubblici del clima e dell’ambiente (greening) in cambio di comportamenti virtuosi benefici per il territorio. L'agricoltore deve essere un punto di riferimento e un attore principale delle aree rurali L'agricoltore e la società devono essere un’alleanza da rafforzare e sviluppare. Le Marche sono tra i territori più belli e curati, una risorsa per tutti. Quanto vale questa risorsa? Quanto siamo disposti ad investire? L’agricoltura riveste un ruolo cardine nella gestione sostenibile della risorse naturali e nello sviluppo equilibrato del territorio.
3) Competitività. La nuova politica deve saper varare misure che possano sviluppare la competitività delle nostre imprese, misure che riescano realmente ad accorciare le distanze tra le nostre aziende e quelle delle aree più competitive ad agricoltura intensiva. E' necessario semplificare le pratiche di accesso agli aiuti soprattutto puntando alla celerità delle erogazioni e solo successivamente ad una fase di controllo dell’utilizzo efficace degli aiuti. Alla luce di un forte ridimensionamento del budget a disposizione del nostro paese oggi più che mai è necessario mettere appunto strumenti efficaci e mirati a premiare le aziende che dimostrino di fare agricoltura e di non puntare alla rendita finanziaria.
Giancarlo Ceccaroni Cambi Voglia, Presidente di Confagricoltura
Le parole chiave sono:
1) Storia. La storia delle Marche sembrerebbe banale perché legata per tanti secoli al papato di Roma; invece è del tutto particolare, perché il Papa, lontano, ha concesso ampie autonomie che hanno permesso a quasi tutti i comuni di dotarsi di propri statuti. Questa vera e propria “libertà” ha consentito lo sviluppo di comunità locali differenziate, così nel dialetto parlato come nel particolare sviluppo socio-economico.
2) Territorio. Il territorio marchigiano è unico in Italia perché costituito da tante vallate parallele. Le colline trasversali sono state dei divisori che hanno agito nello sviluppo della differenziazione tra i vari gruppi di popolazione. Tutto ciò ha favorito la diversità tra i gruppi di popolazione, che si è espressa anche nei gusti gastronomici.
3) Tipicità. Le tipicità di cui le Marche sono ricche sono il prodotto della storia e del territorio e costituiscono oggi la nostra ricchezza. La valorizzazione delle nostre tipicità rappresenta la nostra strada maestra e il nostro avvenire.
Nevio Lavagnoli, Presidente della CIA
Premesso che l’agricoltura e l’agroalimentare italiani, caratterizzano, tra l’altro, fortemente la nostra identità nazionale e il profilo territoriale e ambientale del nostro Paese, le parole chiave, che possiamo ridurre indicativamente a 4, sono:
1) Centralità: l’agricoltura deve, tramite anche la nuova PAC, recuperare la sua centralità in un’economia oggi in tumultuosa trasformazione e le imprese agricole il loro ruolo nella produzione di cibo, con particolare riferimento al ruolo occupato nella filiera.
2) Agricoltore attivo: le risorse della PAC destinate al regime di pagamento unico debbono essere , sebbene non esclusivamente, destinate agli “agricoltori attivi”, la cui definizione deve essere demandata allo Stato membro, perchè è necessario indirizzare i benefici della PAC prioritariamente verso quelle imprese agricole che sono orientate al mercato e operano nel territorio, che in modo professionale creano reddito e producono alimenti ed effetti positivi nella società.
3) Giovani: nel quadro di una rafforzata competitività europea capace di coniugare sostenibilità economica, ambientale, e sociale, i giovani devono rappresentare la priorità delle politiche future, anche finalizzate all’innovazione e alla competitività dell’impresa agricola, opportunamente sostenuti nell’avviamento, nella riconversione e nello sviluppo dell’azienda.
4)Semplificazione: rafforzare la sussidiarietà favorendo una decisa semplificazione della procedura gestionale e di accesso alle misure PSR.
Giannalbero Luzi, Presidente di Coldiretti
4 sono le parole chiave:
1) Ammodernamento delle imprese agricole. E’ necessario sviluppare sistemi alternativi di commercializzazione dei prodotti direttamente al consumatore. Andranno ulteriormente promosse esperienze di filiera corta (es. vendita diretta nelle aziende o nei mercati, progetto Botteghe di Campagna Amica, presenza di corners nella grande distribuzione organizzata, ecc.). Il tutto al fine di dimezzare le intermediazioni e i troppi passaggi dei prodotti agro-alimentari dal campo alla tavola.
2) Assicurazione del reddito. Mettere in campo strumenti atti a contrastare la volatilità dei prezzi.
3) Semplificazione. Riduzione del carico burocratico sulle imprese e semplificazione delle procedure gestionali e di accesso alle misure. Potenziare anche gli strumenti esistenti in applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale.
4) Tutela della distintività dei cibi e dei territori. Mettere in atto una forte azione di difesa dei prodotti mediterranei e dei nostri territori significa riconoscere la funzione economica, ma anche ambientale e sociale delle imprese agricole e ci consente di vincere sui mercati globali (ovvero recuperare i tanti miliardi miliardi di euro di falso Made in Italy nel mondo e tanti nuovi posti di lavoro)
2) Quale ruolo può svolgere la sua organizzazione nel percorso di sviluppo sopra delineato?
Giovanni Bernardini, Presidente di Copagri
La Copagri da anni lavora in tal senso; ha promosso e promuove progetti con l’obiettivo di offrire opportunità concrete al settore agricolo marchigiano puntando sull’innovazione intesa come ricerca di nuove opportunità; idee e progetti nuovi e innovativi che si sono dimostrati di interesse e, come nel caso della Birra Agricola, di grande successo. Sdoganare questo prodotto per le aziende agricole (grazie all'azione della Copagri con il decreto del 5 agosto 2010 la Birra è diventato un prodotto agricolo) è stato il grimaldello che ha aperto agli imprenditori agricoli moltissime possibilità. La Birra Agricola è solo l'apice della piramide. Ci sono molte altre attività che possono aiutare l'agricoltore a migliorare il proprio reddito. Per quanto riguarda il territorio, la nostra organizzazione da anni sostiene il ruolo di un’agricoltura di presidio del territorio, un'attività che l'agricoltore svolge ogni giorno con passione e amore per la terra evitando il suo abbandono e il conseguente deterioramento. Fin quando ci sarà l'attività agricola ci sarà un paesaggio inteso come patrimonio a disposizione della collettività. In merito alla competitività, la Copagri può avere quel ruolo di stimolo propositivo verso gli enti e le istituzioni affinché venga ridimensionata drasticamente la burocrazia che pesa enormemente sulle nostre imprese. Sempre più spesso si chiedono documenti al solo fine di giustificare il proprio ruolo e sempre meno finalizzati al raggiungimento dell'obiettivo che si propone di raggiungere. Il carico burocratico nel nostro paese ha raggiunto livelli insopportabili, a scapito della competitività nei confronti delle aziende agricole di altri paesi dell'unione.
Giancarlo Ceccaroni, Presidente di Confagricoltura
La Confagricoltura è un'organizzazione professionale nella quale confluiscono la maggior parte delle imprese agricole professionali, ovvero le aziende che operano pressochè esclusivamente per il mercato. E’ quindi l’organizzazione leader nel processo produttivo agricolo regionale.
Nevio Lavagnoli, Presidente della CIA
La Cia può svolgere il ruolo di un organizzazione di imprenditori agricoli a vocazione generale, ovvero creare le condizioni, in un processo unitario, per la difesa del reddito degli agricoltori. Questa difesa passa, da una parte, attraverso la rivendicazione di una nuova Politica Agricola Comunitaria, nazionale e regionale e, dall’altra, nel fornire servizi tesi ad accompagnare le imprese agricole nella sempre più difficile arte del competere e dell’affrontare le sfide dei mercati. Ciò va fatto senza smarrire le peculiarità di un’impresa diffusa nel territorio, anche a presidio dell’ambiente, condizione importante per la qualità e la tipicità delle produzioni. Per questo dobbiamo lavorare per “mettere in rete” queste aziende che sono un patrimonio dalquale partire per una nuova concezione dello sviluppo, dove agricoltura e ambiente, prodotti tipici e di qualità, agriturismo e turismo rurale, sappiano coniugarsi in un disegno più generale di sviluppo socio-economico del nostro Paese e della nostra Europa.
Giannalbero Luzi, Presidente di Coldiretti
Ormai da qualche anno Coldiretti sta portando avanti un processo di evoluzione del concetto di rappresentanza che dal binomio “impresa-politica” è approdato a quello di “filiera-consumatore”. Ciò ha portato ad ampliare l’orizzonte delle imprese, anche attraverso strumenti normativi innovativi come la Legge di Orientamento che ha consentito di modernizzare il settore riconoscendo il ruolo dell’imprenditore agricolo multifunzionale quindi non più dedito solo alla produzione di beni ma anche di servizi per la collettività. Per tradurre economicamente tale cambiamento culturale era necessario farsi carico di quei passaggi del percorso che va dal prodotto agricolo al cibo, sino ad oggi gestiti dagli altri. La rappresentanza è stata quindi allargata ai soggetti della cooperazione e al sistema dei consorzi agrari, fino ai mercati per la vendita diretta dei prodotti agricoli di Campagna Amica. Il passo conseguente, che Coldiretti sta oggi compiendo, è quello della Filiera agricola tutta italiana. E' questo un percorso in cui sarà centrale la possibilità di assicurare consulenze aziendali e assistenza tecnica adeguate ad accompagnare le imprese verso la gestione della filiera.
3) Quali iniziative/servizi, attraverso l’uso di internet e di tecnologie informatiche, potrebbero risultare efficaci per collegare meglio gli operatori agricoli alle istituzioni e alla ricerca?
Giovanni Bernardini, Presidente di Copagri
Molta strada c'è ancora da percorrere. Sicuramente il settore agricolo è uno dei settori con la più bassa informatizzazione individuale, sebbene sia uno dei settori in cui le procedure informatiche a disposizione sono tra le più avanzate. E' necessario ridurre questo gap formando gli operatori, colmando quelle lacune del sapere che in altri settori non ci sono più da tempo. E' anche vero che le zone rurali spesso non sono servite dalla cosiddetta “banda larga”, circostanza che, assieme alla bassa formazione degli addetti, aumenta il “digital divide”. La ricerca è indispensabile per migliorare la redditività, migliorare la qualità e le condizioni di vita degli agricoltori, ma deve essere una ricerca progettata e compartecipata con il mondo produttivo a partire dalla base.
Giancarlo Ceccaroni, Presidente di Confagricoltura
Oggi il supporto informatico è il primo collante del nostro lavoro nell’azienda agricola. Purtroppo, manca ancora un efficiente, semplice ma conciso e puntuale collegamento tra gli operatori, la ricerca e le istituzioni. Il collegamento tra Regione e aziende è presente, ma è ancora perfettibile. Manca completamente il collegamento con la ricerca, fatta salva la presenza nella nostra Regione di un attiva Facoltà di agraria. E’ infatti da tale incontro che può scaturire un valido aggiornamento della nostra agricoltura regionale. E’ in questo contesto che una rivista on line aggiornata, agile e pragmatica come AGRIMARCHEUROPA può trovare la sua proficua collocazione.
Nevio Lavagnoli, Presidente della CIA
Intanto occorre ribadire che anche in agricoltura, il fare impresa si coniuga sempre di più e sempre più in forma nuova col fare ed essere impresa. Le Marche, per caratteristiche storiche, geografiche, culturali, sono una Regione dalle 1000 agricolture, dalle 1000 imprese, dai 1000 modi di fare impresa. Un nuovo sviluppo non può che partire da qui: mettere in rete le nostre aziende per affrontare la sfida del mercato, della globalizzazione. Una rete pubblico-privata di servizi alle imprese diventa condizione essenziale per affrontare il futuro e in questa logica l’uso di internet e di tecnologie informatiche può risultare efficace anche per collegare meglio gli operatori agricoli alle Istituzioni e alla ricerca, ma anche un modo nuovo di essere e fare impresa, in tutti i suoi aspetti. In questo senso l'uso delle nuove tecnologie può essere uno strumento essenziale per la formazione e l’aggiornamento continuo, in una logica dinamica dell’essere imprenditore.
Giannalbero Luzi, Presidente di Coldiretti
La rete è un fattore produttivo di vitale importanza per lo sviluppo dell’imprenditoria agricola. Basti ricordare che il nuovo progetto di Coldiretti delle Botteghe di Campagna Amica poggia sull’organizzazione di una vera e propria rete telematica per l’approvvigionamento dei prodotti. Per Bottega si intende un punto di vendita organizzata in cui si vende esclusivamente l’assortimento completo della filiera agricola italiana con il marchio Campagna Amica, ossia tutti i prodotti agricoli provenienti da campi e allevamenti italiani e venduti direttamente da un soggetto agricolo. D’altro canto, è innanzitutto necessario intervenire sulle infrastrutture, per abbattere il Digital Divide nelle campagne. Solo un’impresa su tre che opera nelle aree interne delle Marche ha, infatti, un collegamento internet. Fatto ciò, la rete può svolgere un ruolo importante nell’avvicinare produttori alle istituzioni con processi di semplificazione burocratica degli adempimenti, nella promozione di esperienze di e-learning per la formazione, nella connessione con gli istituti di ricerca, il cui ruolo sta diventando sempre più importante (es. green economy).
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Primi elementi di riflessione Lorenzo Bisogni Regione Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
Premessa
Il 12 ottobre sono state presentate le proposte di Regolamento della Commissione Europea, al Parlamento e al Consiglio Europeo, relative alla nuova Politica Agricola Comune, che fa ancora leva sugli attuali due Pilastri. Il primo Pilastro agisce con pagamenti diretti agli agricoltori e con misure di mercato, mentre il secondo interviene a favore dello sviluppo rurale. Rispetto al periodo 2007-2013, per quanto riguarda lo sviluppo rurale, importanti elementi di novità sono costituiti dalla presenza di un Quadro Strategico Comune e da un Contratto di Partnership tra Stato membro ed Unione europea che prevede obiettivi quantificati, la misurazione dei risultati ed una premialità sulla base dei risultati stessi. Il Contratto è unico per tutti i fondi comunitari. Altro aspetto importante da considerare nel momento di affrontare la nuova fase di programmazione è la definizione della struttura del PSR indicata dalle proposte di regolamento, non più basata su misure rigidamente inserite in 4 assi, ma su misure che possono essere organizzate in modo flessibile per il raggiungimento di 6 obiettivi. È inoltre prevista la possibilità di attivare 4 sottoprogrammi con aiuti maggiorati, finalizzati al sostegno di giovani, zone montane, filiere corte e piccole aziende. Uno sguardo preliminare, ora, al contesto generale e specifico agricolo. Le analisi e gli studi realizzati dall’Osservatorio Agroalimentare delle Marche mostrano come l’economia italiana ed in misura minore marchigiana, si sia avviata da oltre un decennio verso una progressiva perdita di competitività, aggravata dalla recente crisi del 2009. In tale contesto il settore agricolo ha però dimostrato una capacità di tenuta durante la crisi superiore agli altri comparti, lasciando sperare in un suo ruolo non marginale nel recupero di competitività e di occupazione per i prossimi anni. La recente pubblicazione dei dati provvisori sul censimento dell’agricoltura 2010, riguardo ai quali è presente uno specifico approfondimento su questa rivista a cui si rimanda per una lettura più analitica, ha evidenziato alcuni elementi di cui tenere conto nella prossima fase di programmazione. Di seguito si riportano i dati di maggior rilievo: 1) la riduzione del 24% delle aziende agricole regionali a fronte di una riduzione del 4% della SAU con l’evidente risultato dell’aumento della superficie media aziendale, che rimane comunque troppo bassa; 2) riduzione del 17% dei capi bovini allevati contro una media nazionale del 6%; 3) conferma del dato elevatissimo dei seminativi che rappresentano l’80% della SAU; 4) aumento della estensione media delle superfici pascolive aziendali. È questa la fotografia di un’agricoltura prevalentemente estensiva e a basso impiego di manodopera. Sicuramente la nostra agricoltura presenta anche numerose realtà aziendali altamente professionali dove si è puntato sulla qualificazione e l’innovazione di prodotto e di processo, ma queste rappresentano ancora una porzione troppo bassa delle imprese regionali. Non vi è dubbio che anche nei prossimi anni l’azione regionale dovrà continuare a spingere le imprese verso questa direzione. In questa sede non si entra nel merito delle scelte operate dalla Commissione Europea nell’ambito del primo Pilastro. Si evidenzia tuttavia, che sebbene la riduzione complessiva per le Marche dei fondi non dovrebbe superare il 15-20% delle attuali risorse, il criterio della “regionalizzazione” determinerà una drastica riallocazione delle risorse a vantaggio di alcuni settori ed alcune aree, che andrà attentamente valutata in fase di programmazione. In estrema sintesi si evidenzia: a) una riduzione compresa tra un terzo e due terzi del sostegno per i seminativi, l’olivicoltura ed il settore lattiero caseario nella media e bassa collina; b) il pagamento di premi ad ettaro per l’ortofrutta ed i vigneti mai previsti sinora; c) un aumento dal 50% al 150% del sostegno per le coltivazioni e gli allevamenti delle aree montane.
Politiche territoriali
L’esperienza maturata nella gestione delle risorse comunitarie nell’attuale periodo di programmazione portano alla individuazione di una prima opzione per il nuovo Programma di Sviluppo delle aree Rurali delle Marche: l’orientamento verso un approccio bottom-up delle scelte di intervento, unito ad una integrazione a livello territoriale delle diverse azioni di sostegno. Si tratta di far evolvere progressivamente l’azione regionale, da una strategia incentrata sui sussidi alle imprese nell’ottica di interventi settoriali decisi dal governo centrale, verso la realizzazione di interventi ad hoc individuati per specifici contesti territoriali, definiti sulla base di scelte effettuate dagli attori locali. Questa logica di intervento territoriale, nel garantire la massima aderenza degli interventi alle esigenze locali, può anche favorire il superamento della prolungata discussione sulle scelte di decentramento amministrativo, che oggi del resto non possono prescindere dall’attuale contesto politico, che potrebbe determinare modifiche sostanziali dell’ordinamento istituzionale nazionale. I criteri che guideranno l’azione regionale dovranno tenere conto del grado di debolezza delle istituzioni sia formali che informali dei diversi territori, che si traducono in diverse capacità di attivare un processo partecipativo dal basso di conoscenza ed auto-valutazione delle potenzialità locali. Gli elementi decisivi in tale ambito sono: le capacità e le conoscenze individuali; la fiducia individuale nelle potenzialità di sviluppo del proprio territorio; le capacità istituzionali pubbliche e private di governare processi decisionali collettivi; il livello di partecipazione democratica ai possibili processi decisionali. L’interazione di questi elementi conduce alla definizione di situazioni locali diversificate, tra le quali potremmo riconoscere due condizioni di confine: a) aree con la presenza di un sistema rurale locale integrato ed attivo, con una elevata densità relazionale, in grado di esprimere un adeguato livello di autoconsapevolezza delle potenzialità di sviluppo del territorio e delle possibili strategie di sviluppo locale; b) aree con presenza di un contesto socio-rurale debolmente interconnesso in cui non vi è la visione di possibili strategie comuni di sviluppo integrato e manca o è debole il senso di appartenenza all’area da parte dei cittadini e degli operatori economici. Le diverse situazioni richiedono azioni modulate e meglio rispondenti alle esigenze dei territori, che potranno riguardare prevalentemente la costruzione ed il rafforzamento delle istituzioni formali ed informali o viceversa orientarsi maggiormente verso interventi integrati materiali ed immateriali a favore delle imprese e delle istituzioni pubbliche e private. Il processo bottom-up potrà essere tanto più efficace, quanto maggiore sarà il grado di coinvolgimento diretto degli operatori locali, in termini di assunzione di responsabilità e di partecipazione democratica alle scelte. Il ruolo dell’Amministrazione regionale è fondamentale nella guida, assistenza e monitoraggio degli interventi, nonché nell’assicurare il confronto, anche in termini di efficacia, tra interventi attuati in territori diversi ma con un comune approccio. A livello di programmazione sono effettuate scelte sui possibili soggetti capofila (amministrazioni pubbliche locali, soggetti pubblico-privati, associazioni di operatori privati, enti gestori di aree naturali) in relazione alle diverse tipologie di intervento locale, quali: accordi agroambientali; sostegno della competitività; servizi alla popolazione; interventi integrati multi-obiettivo. La presenza di un quadro strategico comunitario unico per tutti i Fondi (FEASR, FSE, FESR FEP) potrà favorire la progettazione di interventi di sviluppo territoriale multi obiettivo e multisettoriale, rendendo possibili il contestuale perseguimento di obiettivi sia di efficienza e competitività, che di equità ed inclusione sociale.
Strategie di aggregazione
Uno dei principali fattori di debolezza del settore agricolo ed agroalimentare regionale è l’estrema frammentazione del sistema produttivo e di commercializzazione delle produzioni, che determina una forte marginalità degli agricoltori, ed in misura minore anche degli operatori agroindustriali, nella formazione dei prezzi all’interno della catena alimentare. L’attuale squilibrio del potere negoziale all’interno della filiera determina la mancanza di una efficace trasmissione dei segnali di mercato, riducendo progressivamente la percentuale del valore aggiunto che il settore agricolo rappresenta nell’insieme della catena alimentare ed in definitiva pregiudicando le prospettive di sviluppo a lungo termine del settore primario. La seconda direttrice prioritaria di intervento è incentrata pertanto sul tema dell’aggregazione di filiera attraverso la creazione di vere e proprie reti di imprese. La partecipazione degli agricoltori, in varie forme, alle fasi di trasformazione e distribuzione dei prodotti agroalimentari è infatti il più potente strumento per far acquisire, a livello di settore primario, una maggiore quota di valore aggiunto delle produzioni agroalimentari. Con lo strumento dell’integrazione di filiera, agricola o forestale, si intende inoltre favorire il miglioramento dell’efficienza complessiva dei suoi diversi stadi, compresi tra la produzione ed il consumo, ricercando una riduzione dei costi organizzativi e di transazione. L’intervento di filiera locale rappresenta, del resto, uno strumento di elezione nell’ambito delle strategie di azione volte allo sviluppo integrato di determinate aree rurali. Questa modalità operativa è già stata avviata con l’attuale PSR, con interventi a favore delle filiere agroalimentari di qualità regionali e locali. Si tratta ora di estendere il sostegno regionale alle altre filiere agroalimentari, alle filiere forestali ed alle filiere energetiche e no-food. Tenuto conto dei risultati ad oggi ottenuti, si ritiene di poter confermare alcune delle scelte effettuate in questo periodo di programmazione con le filiere locali e regionali, quali: la presenza di un soggetto promotore e di un contratto di filiera; la definizione di una condizionalità ex-ante per l’accesso e di una condizionalità ex-post per il pagamento della totalità degli aiuti. Potrebbero, inoltre, essere introdotti alcuni nuovi elementi, quali una premialità ex-post per i progetti più efficaci, e l’informazione rivolta agli attori delle diverse filiere sulle migliori pratiche e risultati ottenuti dalle diverse aggregazioni di filiera.
Governance dei processi decisionali
Uno dei principi cardine dell’azione comunitaria, specie nell’ambito dei fondi strutturali e dello sviluppo rurale, è quello della sussidiarietà, secondo il quale ciascuna autorità svolge soltanto le azioni che non possono essere portate a termine in modo efficace ad un livello più decentrato. Con il PSR Marche, si ritiene opportuno, sia realizzare alcuni interventi ad esclusiva regia regionale, quali il sostegno trasversale ad alcune tipologie di imprese, sia attivare altri interventi secondo il principio della governance multilivello, che prevede l’assegnazione di competenze diverse ai diversi livelli operativi sub-regionali. In tale secondo contesto la Regione definisce gli obiettivi generali e le modalità operative che dovranno essere seguite affidando ai livelli operativi più bassi le scelte sulle più opportune forme di sostegno in relazione alle esigenze specifiche territoriali e/o settoriali. Le competenze affidate al livello sub-regionale sono in ogni caso variabili a seconda degli obiettivi da raggiungere e nella fattispecie potrebbero essere riconducibili alle seguenti 4 tipologie di aggregati di funzioni:
- Caso a): individuazione dei fabbisogni di un determinato territorio; elaborazione delle strategie di sviluppo locale; progettazione diretta di alcuni interventi; raccolta e valutazione di altri progetti;
- Caso b): individuazione dei fabbisogni locali; progettazione diretta di alcuni interventi; raccolta di altri progetti;
- Caso c): individuazione dei fabbisogni di una rete di imprese; progettazione diretta di alcuni interventi; raccolta di altri progetti;
- Caso d): condivisione con gli operatori locali delle soluzioni volte a risolvere specifici problemi ambientali; progettazione diretta di alcuni interventi; raccolta di altri progetti.
Si intende, inoltre, confermare ed in alcuni casi accentuare l’impostazione dell’attuale PSR che vede la presenza di una condizionalità ex-ante per l’accesso agli aiuti, di un contratto tra gli aderenti, e di una condizionalità ex-post per la conferma degli aiuti e/o l’accesso ad aiuti aggiuntivi. La condizionalità ex-post potrà essere rappresentata da condizioni vincolanti e misurabili quali: tempi di realizzazione e spesa, rispetto delle procedure da seguire, rispetto di obiettivi di risultato (quali ad esempio: fatturato di filiera, adesioni a progetti di tutela ambientale ecc.); oppure da condizioni “obiettivo” non vincolanti, ma funzionali ad esercitare una pressione nei confronti dei diversi attori partecipanti attraverso il monitoraggio e la divulgazione comparativa dei risultati raggiunti. Affinché si possa massimizzare l’efficacia degli interventi si sottolinea ancora la necessità della più ampia partecipazione democratica degli attori interessati che conduca: alla definizione di obiettivi chiari e quantificabili; alla costante verifica dei risultati raggiunti in corso d’opera, specie in modo comparativo con quanto ottenuto da altri “gruppi”; all’ascolto e alla valutazione di eventuali proposte correttive e/o alternative; alla lettura dei risultati finali ottenuti in termini di impatto quantificati da un soggetto valutatore indipendente.
Le priorità trasversali
Nell’ipotesi di una probabile riduzione di risorse disponibili con il PSR, assumeranno un rilievo sempre maggiore le azioni di sostegno allo sviluppo del capitale umano. La programmazione regionale dovrebbe pertanto esaltare il ruolo della formazione professionale, della consulenza aziendale e dell’informazione a tutti i livelli. Al fine della massimizzazione degli effetti ottenuti si ritiene opportuno, peraltro, che le suddette azioni siano attentamente finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici. A tal fine potranno essere attuate tutte le azioni sopra indicate, soltanto nell’ambito del sostegno rivolto: 1) a progetti di sviluppo territoriale; 2) ad accordi agroambientali; 3) ad accordi di filiera. Le azioni di formazione e consulenza potranno inoltre essere finanziate anche in diretto collegamento con investimenti aziendali. È confermata la strategia regionale volta al sostegno prioritario delle produzioni di qualità, con particolare riferimento ai prodotti a denominazione di origine, alle produzioni QM e ai prodotti biologici. Viene in ogni caso ribadita con forza l’opzione non OGM per le produzioni agroalimentari marchigiane. Per quanto riguarda le produzioni QM si ritiene opportuno ampliare ulteriormente il numero e la quantità di produzioni certificate, favorendo al contempo iniziative volte all’ottenimento per alcune di esse del riconoscimento della denominazione di origine. La tracciabilità delle produzioni fino al consumatore finale andrebbe estesa per quanto possibile a tutte le produzioni biologiche regionali. Viene rinnovata la scelta delle limitazione del sostegno della promozione e della loro certificazione, nell’ambito degli accordi di filiera e del vino. È necessario rilevare come qualsiasi tipo di intervento volto alla riduzione dell’impatto ambientale dell’attività agricola o alla tutela dell’ambiente ha la possibilità di determinare risultati significativi soltanto se adottato su aree contigue che coprano una adeguata estensione territoriale. Una terza priorità riguarda pertanto la concentrazione territoriale degli interventi agroambientali. Uno degli elementi di maggiore criticità dell’attuale periodo di programmazione è risultata la complessità delle procedure causata in gran parte dalla stratificazione successiva delle norme comunitarie, nazionali e regionali. Priorità assoluta per il prossimo PSR è quindi la semplificazione amministrativa, che andrà perseguita sin dall’attuale fase di negoziato con la Commissione Europea con proposte di modifica dei nuovi regolamenti, per poi proseguire nella definizione delle regole di attuazione e controllo nazionali, fino ad arrivare alla stesura definitiva dei bandi regionali. Due primi elementi di semplificazione da considerare sono: a) l’applicazione per quanto possibile di pagamenti basati su importi forfettari o tabelle standard di costi unitari; b) un sistema dei controlli proporzionato all’entità degli aiuti erogati ed effettuato sulla base dell’analisi del rischio.
Alcune scelte specifiche
A livello di scelte operative si avanzano alcune prime proposte su cui attivare un ampio dibattito al fine di giungere a decisioni finali il più possibile condivise:
- il “pacchetto giovani” attivato con l’attuale PSR viene giudicato in modo molto positivo. Si ritiene pertanto utile la sua riproposizione, con eventuali adeguamenti quali la possibilità di optare per una maggiore quota di sostegno in conto interessi ed un più efficace utilizzo dello strumento di garanzia finanziaria. Non si ritiene opportuno attivare uno specifico sottoprogramma “giovani agricoltori”;
- uno dei più gravi problemi che attualmente stanno affrontando le aziende beneficiarie del PSR, è la difficoltà di accesso al credito, già esistente di norma per le aziende debolmente capitalizzate, ma ora fortemente accentuata dallo stato di crisi economica globale. Diviene pertanto indispensabile proporre specifiche soluzioni quali: a) accesso alle misure di ingegneria finanziaria, con particolare riferimento ai fondi di garanzia cofinanziati; b) svincolo delle risorse erogate con il vecchio PSR per i fondi di garanzia, per aumentare la capacità di intervento di banche e Confidi; c) favorire l’accesso ad altre risorse, normalmente non utilizzate dal comparto agricolo, quali i fondi BEI;
- le filiere locali non hanno ancora manifestato tutte le loro potenzialità, ma non si nutrono dubbi sulla loro efficacia nella valorizzazione delle produzioni agroalimentari locali. Tale tipologia di intervento andrebbe, come già detto, estesa anche alle filiere forestali ed alle filiere energetiche e no-food, cercando peraltro ogni possibile interazione con interventi territoriali agroambientali e/o di sviluppo integrato. È sicuramente opportuno allargare il campo di intervento anche alle micro filiere, intese come piccole associazioni di produttori finalizzate alla realizzazione di filiere corte. Si ritiene che l’attivazione delle filiere corte possa avvenire efficacemente anche senza la definizione di uno specifico sottoprogramma;
- il campo di applicazione delle filiere regionali dovrebbe essere allargato anche ad altri settori oltre a quelli dell’attuale PSR, con particolare riferimento all’ortofrutta trasformata;
- l’intervento a sostegno delle aree montane andrebbe organizzato all’interno di uno specifico sottoprogramma “aree montane” in considerazione delle forti disparità esistenti tra queste aree e le restanti zone marchigiane in termini di: minore redditività dei terreni agricoli, maggiori difficoltà di accesso ai servizi alla popolazione, maggiore distanza dai mercati di consumo, ecc. La complessità di tali problematiche richiede infatti un particolare approfondimento tematico e la individuazione di specifiche strategie di intervento;
- le modalità di accesso al sostegno delle aziende agricole per la realizzazione di investimenti strutturali, andrebbero differenziate in relazione alla dimensione degli stessi. In particolare, mentre si ritiene opportuno confermare l’attuale procedura per le grandi aziende e i grandi investimenti, per i piccoli investimenti proposti da particolari aziende (ad esempio, aziende ubicate in area montana, aziende multifunzionali a conduzione familiare, ecc.) si dovrebbe individuare una procedura semplificata;
- per quanto riguarda gli accordi agroambientali d’area, nel confermare i principi generali attualmente previsti, andrebbe incoraggiata la creazione di stretti legami tra questi accordi e progetti integrati d’area volti sia alla valorizzazione delle produzioni locali di qualità, sia al miglioramento dell’attrattività turistica dei medesimi territori;
- uno dei settori di diversificazione dell’attività agricola che si ritiene possa avere ampi margini di sviluppo nel prossimo periodo è quello delle energie rinnovabili. Alcune possibili opzioni sono: a) non sostenere investimenti destinati alla produzione di energia che utilizzano come materia prima prodotti agricoli; b) preferenza per gli investimenti in grado di garantire l’autosufficienza energetica aziendale e familiare; c) priorità per il sostengo di investimenti collettivi in filiera con utilizzo di materia prima forestale e/o dei sottoprodotti agricoli ed agroalimentari;
- sempre nell’ambito della diversificazione dell’attività agricola, andranno attentamente valutate tutte le potenzialità di sviluppo legate all’attività di erogazione di servizi sociali a favore dell’infanzia, degli anziani, di individui disagiati, ecc.;
- per il futuro andrebbe infine confermato l’attuale forte sostegno al settore biologico, pur con una correzione significativa delle condizioni di ammissibilità. La proposta è quella di escludere il sostegno generalizzato al settore, definendo in sede di programmazione criteri stringenti di ammissibilità agli aiuti, ovviamente largamente condivisi dal partenariato. In questa sede si propone un primo elenco di condizioni, delle quali almeno una deve essere posseduta per l’accesso agli aiuti: a) adesione ad una filiera biologica; b) adesione ad accordi agroambientali d’area; c) coltivazione di terreni ricadenti un area Natura 2000; d) coltivazione di terreni ricadenti in area protetta e in area ZVN.
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Sabrina Speciale Regione Marche Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
L’Osservatorio agroalimentare delle Marche nasce come funzione all’interno del servizio agricoltura forestazione e pesca per promuovere studi e ricerche a supporto della attività di programmazione, divulgarli e promuovere un confronto con l’università e il mondo della ricerca. L’utilità dell’Osservatorio quindi dipende da due presupposti di base: che il Servizio Agricoltura debba svolgere attività programmazione, e che per fare buona programmazione sia necessario un supporto scientifico. Il primo presupposto permane per il prossimo periodo 2014-2020 di programmazione dei fondi comunitari in quanto i regolamenti proposti dalla Commissione Europea lo scorso ottobre mantengono l’impostazione precedente di una politica di sviluppo rurale finanziata dal fondo FEASR. In Italia tale programmazione è in capo agli enti regionali, cui la Costituzione assegna la competenza esclusiva in materia di agricoltura, responsabili della elaborazione e attuazione dei Programmi di Sviluppo Rurale. Nell’attuale fase congiunturale di progressivo e ingente taglio dei trasferimenti statali alle amministrazioni regionali, inoltre, il Programma di Sviluppo Rurale rappresenta di gran lunga il più importante strumento di programmazione di interventi regionali per il settore agroalimentare e lo sviluppo rurale. Il secondo presupposto, ossia che “per fare buona programmazione sia necessario un supporto scientifico” viene in effetti rafforzato dall’impostazione strategica comunitaria di seguito schematizzata:
Sono quindi previsti:
- un Quadro Strategico Comune, definito dalla Commissione UE che stabilirà per ogni fondo, compreso il FEASR, le azioni chiave per il raggiungimento degli obiettivi tematici generali (1) connessi alla strategia Europa 2020;
- un contratto di partenariato plurifondo, che sarà concertato e poi approvato dalla Commissione Europea, in cui ciascuno Stato Membro definisce la sua strategia, le priorità e gli strumenti per perseguire gli obiettivi tematici generali attraverso un approccio integrato sostenuto da tutti i Fondi (2) e da tutti i programmi. Gli impegni di ciascun Stato Membro si devono tradurre, per ogni priorità, in risultati attesi quantificati, per ciascuno dei quali va indicato il livello obiettivo finale al 2022 e le cosiddette “tappe fondamentali” o milestones cioè gli obiettivi intermedi che si impegna a raggiungere al 2016 e al 2018. Il raggiungimento o meno di questi traguardi è determinante per l’assegnazione di una riserva di efficacia ed efficienza pari al 5% delle risorse assegnate e può comportare anche la sospensione dei pagamenti;
- i programmi operativi: nello specifico il Programma di Sviluppo Rurale dovrà perseguire le priorità dell’Unione Europea in materia di sviluppo rurale (3) e analogamente al contratto di partenariato dovrà stabilire obiettivi finali e intermedi quantificati sulla base dei quali verrà giudicato e “premiato” o “punito”.
Questa impostazione strategica comunitaria rende molto più complessa l’attività di programmazione per il periodo 2014-2020 per almeno 3 ordini di ragioni. In primo luogo, viene rafforzata la necessità di integrazione tra politiche. In secondo luogo, risulta confermato e rafforzato il ruolo dello sviluppo rurale nel perseguire, oltre che la competitività del settore agroalimentare e forestale, anche finalità di carattere ambientale e sociale il che comporta, per l’ente programmatore, la necessità di individuare quei comportamenti e interventi in capo alle imprese agricole e non da sostenere, per massimizzare la loro efficacia in termini di gestione delle risorse naturali (acqua, suolo), riduzione delle emissioni di carbonio, tutela della biodiversità e del paesaggio, utilizzo di fonti di energia rinnovabili ma anche di integrazione sociale, sviluppo locale. Infine, viene richiesta una programmazione orientata a risultati misurabili e verificabili. Ciò comporta per l’ente programmatore la necessità di tradurre gli obiettivi in traguardi misurabili, economici (maggiore redditività, crescita occupazione, ecc.), ambientali (riduzione di emissioni, miglioramento della biodiversità, ecc.), sociali, e la capacità di identificare e quantificare i risultati degli interventi finanziati attraverso indicatori oggettivi e numerici in grado di misurare il graduale raggiungimento dei traguardi in una chiara relazione di causa-effetto. Per lo specifico ambito dello sviluppo rurale inoltre il regolamento sembra riconfermare l’impostazione del precedente periodo di programmazione sui contenuti del PSR (valutazione ex ante, analisi del contesto SWOT, strategia, misure, complementarietà con gli altri Fondi, ecc.) ma ne aggiunge anche di nuovi come la valutazione delle precondizioni di sistema, ossia la lista delle cosiddette “condizionalità ex ante” (per lo più riferite a obblighi e direttive europee) che devono essere presenti in partenza nel sistema nazionale e/o regionale perché il programma sia approvato e che dovrebbero garantire l’efficacia degli investimenti cofinanziati. In questo contesto di crescente complessità il supporto scientifico risulta particolarmente importante, ancor prima della fase di elaborazione dei programmi, anche per un’analisi critica delle proposte di regolamento e per valutarne le possibili ricadute sul contesto regionale. Si è appena avviato infatti il negoziato tra Stati Membri e Commissione Europea e tra questa e le altre istituzioni comunitarie, in primis il Parlamento, sui testi dei regolamenti, che pertanto potrebbero subire modifiche anche sostanziali. Alla luce di questi presupposti le principali attività che l’Osservatorio sarà chiamato a svolgere nei prossimi mesi saranno:
- l’analisi del contesto regionale, non solo agricolo e rurale, dei suoi fabbisogni e delle sua opportunità;
- la valorizzazione degli apporti del mondo accademico e degli operatori del settore;
- l’integrazione dei dati, informazioni e analisi elaborati da altri Servizi e Osservatori regionali;
- il supporto al valutatore indipendente nell’elaborazione della valutazione ex ante del programma.
Tali attività saranno svolte dall’Osservatorio agroalimentare utilizzando degli strumenti ormai consolidati e attivati nell’ambito della convenzione Regione Marche-Istituto Nazionale di Economia Agraria. Il primo è l’elaborazione del Rapporto annuale sull’agricoltura e l’agroalimentare marchigiano che offre un quadro completo del mondo agricolo e rurale marchigiano secondo uno schema di analisi stabile che tuttavia viene di volta in volta adeguato alle dinamiche delle esigenze conoscitive. Nell’ultimo volume pubblicato, ad esempio, considerato il crescente ruolo di tutela dell’ambiente affidato dall’Unione Europea al settore agricolo e ai suoi operatori, che si è tradotto nel 2009 nell’introduzione di 4 nuove “sfide ambientali” della politica agricola comune, è presente un approfondimento sulle opportunità di sviluppo nelle Marche delle agro-energie. Il prossimo Rapporto Annuale certamente valorizzerà la disponibilità dei dati del censimento agricoltura 2010 per effettuare un’analisi dell'evoluzione di lungo periodo dell’agricoltura regionale e le sue prospettive. Sempre con il supporto tecnico scientifico di INEA sarà implementata la definizione e quantificazione del complesso quadro degli indicatori di contesto e dell’analisi SWOT, con riguardo in particolare al settore agroalimentare e al contesto rurale, e realizzati quegli approfondimenti tematici che risulteranno prioritari in base all’evoluzione del quadro di riferimento comunitario (priorità- programmi tematici- obiettivi) e alle indicazioni che scaturiranno dal confronto in ambito nazionale e regionale. Lo sviluppo di un’analisi dei fabbisogni, delle aspettative e delle opportunità del contesto marchigiano è particolarmente rilevante per riuscire nell’intento di conciliare la visione “alta” che deriva dalle norme comunitarie alla realtà locale e quindi programmare degli interventi il più possibile vicini alle esigenze regionali. Per questo motivo, accanto agli strumenti consolidati di cui sopra, il nuovo strumento Agrimarcheuropa avviato dall’Osservatorio mira ad alimentare il dibattito del mondo accademico, delle parti sociali-istituzioni e stakeholders marchigiani per individuare i temi e gli aspetti più cruciali per il futuro del settore agricolo e agroalimentare regionale secondo un’impostazione dinamica e aperta agli stimoli esterni, compresi quelli del mondo extra agricolo. Oltre a queste attività realizzate in collaborazione con INEA l’osservatorio agroalimentare implementerà lo scambio di dati, informazioni e studi con gli altri servizi e osservatori regionali per valorizzare il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione e per la necessaria interrelazione delle attività di analisi e programmazione dello sviluppo rurale con quelle afferenti gli altri ambiti di programmazione ad esso più vicini (ambiente, sviluppo territoriale, turismo ecc.).
Note
(1) La bozza di Regolamento COM(2011) 615 del 6/10/2011 all’art. 9 individua 11 obiettivi tematici. (2) Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Fondo di Coesione, Fondo Sociale Europeo, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca. (3) La bozza di Regolamento COM(2011) 6257/3 del 12/10/2011 all’art. 5 individua 6 priorità così sintetizzabili: 1) conoscenza e innovazione; 2) competitività; 3) filiere e gestione del rischio; 4) ecosistemi; 5) uso efficiente di risorse - energia e clima; 6) inclusione sociale e sviluppo zone rurali.
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Imprenditore, uomo politico, alpinista, speleologo, ambientalista, viaggiatore Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre, 2011
La carta, nonostante l'avanzata della rivoluzione digitale, mantiene la propria centralità e le "Cartiere Pietro Miliani Fabriano" dal 2002 proprietà della Fedigroni Group, sono ancora sinonimo d'eccellenza. Con in mano una banconota in euro, si può apprezzare la grande quantità di uno dei prodotti legati alla plurisecolare storia della carta fabrianese, che ha ricevuto dai Miliani un marchio indelebile. Nel 1890, Giambattista Miliani prende in mano l'azienda, ancora a carattere artiginale, e la trasforma in un'industria che si afferma a livello internazionale. E' una personalità che impone un'orma non facilmente cancellabile nei diversi campi dell'attività umana: l'industria, l'agricoltura, la politica, l'alpinismo, la difesa dell'ambiente. Ha passione per l'agricoltura, che gestisce con spirito riformista e, per questa sua competenza tecnica, nel 1917 è scelto come ministro dell'Agricoltura nel governo di Vittorio Emanuele Orlando. Deputato dal 1905, nel 1924 entra nel listone fascista, nel 1927 è nominato Podestà di Fabriano, la sua città, dove nel 1889, a soli 33 anni, era stato eletto sindaco; nel 1929 è nominato Senatore del Regno. Pioniere dell'ambientalismo, distingue fra le risorse riproducibili e quelle in via d'estinzione; dai suoi scritti dedicati ai "Sibillini", dal suo saggio "Alpinismo", dai racconti dei suoi viaggi, dalla sua attività parlamentare, netta appare questa scelta, in un'epoca in cui la parola "ecologia" è ancora sconosciuta. Lo studio della sua personalità, è approfondito, anche, dal profilo grafologico, affidato ad Anna Castelli, presidente nazionale dell'Associazione Grafologica Italiana.
Volume edito da: affinità elettive, Ancona, 2010
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